Comuni e doppia preferenza «Non se ne sente il bisogno»
Gianmoena frena sulla legge. Robol: c’è un patto con le neoelette
Più che introdurre delle TRENTO regole occorre cambiare l’approccio culturale, «perché della legge sulla doppia preferenza di genere, anche nelle elezioni di sindaci e amministratori, non se ne sente il bisogno». A stoppare la proposta dell’assessora provinciale alle pari opportunità, Sara Ferrari, che chiede l’approvazione in Consiglio regionale di un ordine del giorno che prevede, appunto, la doppia preferenza di genere anche per i comuni, è Paride Gianmoena, presidente del Consorzio dei Comuni.
Una proposta, quella di Ferrari, bloccata in Consiglio regionale da tre anni e arrivata dall’analisi dei dati dell’Ispat (l’istituto di statistica della Provincia di Trento) che ha monitorato la presenza delle donne sindache e nei consigli comunali. Ebbene rispetto a Lombardia e Veneto, peggio del Trentino fa solo l’Alto Adige, con percentuali inferiori anche alla media nazionale (vedi Corriere del Trentino di ieri). Eppure nel 2010 la classifica vedeva ai vertici Trentino e Alto Adige. In otto anni il Veneto ha avuto un balzo di oltre 13 punti percentuali e la Lombardia di 10. Cosa è successo? Nel 2012 a livello nazionale è stata approvata la legge sulla doppia preferenza di genere, ovvero l’obbligo di inserire nelle liste elettorali il 50% di donne e il 50% di uomini e la possibilità per l’elettore di esprimere solo due preferenze che devono essere obbligatoriamente una al maschile e l’altra al femminile, pena l’annullamento della seconda preferenza.
In Trentino questa regola è stata approvata lo scorso dicembre in Consiglio provinciale solo per le elezioni provinciali. «E’ un dato di fatto che nei comuni dove si è votato con la doppia preferenza di genere, le donne elette sono aumentate anche del 40% — commenta Giulia Robol, portavoce del Comitato Non Ultimi, gruppo costituito nel 2016 a sostegno della presenza paritaria delle donne nelle assemblee elettive. — Il nostro impegno ora è quello di portare avanti il documento sottoscritto da diverse candidate alle recenti elezioni politiche».
Un patto che prevede, tra i diversi temi, una più puntale democrazia paritaria. «È inaccettabile — si legge nel documento sottoscritto — che solo nelle province di Trento e Bolzano si voti con un sistema elettorale diverso rispetto al resto d’Italia, negando la possibilità di poter garantire una adeguata rappresentanza di genere nelle assemblee elettive comunali».
Resta da vedere se le parlamentari neoelette che l’hanno condiviso (ad eccezione della Lega): Emanuela Rossini (Patt), Cinzia Boniatti (M5S), Donatella Conzatti (Forza Italia) ed Elena Testor (Forza Italia) porteranno avanti l’impegno. «È chiaro che deve esserci un cambiamento nell’approccio culturale — dice Conzatti — ma dal punto di vista legislativo questa legge serve, i fatti dimostrano che funziona».
Più cauto Gianmoena, che pur non demonizzando la legge sulla doppia preferenza di genere dice che «le norme devono arrivare dopo un’idea di ordine culturale». Il presidente del Consorzio dei Comuni non si dice «preoccupato» del basso numero di sindache e consigliere in Trentino e non riconosce una «particolare sofferenza, tale da rendere necessaria l’approvazione della legge. Non ho avuto nessun sentore in merito». Insomma le norme possono aiutare, ma in Trentino pare non servano. «Invece cercheremo di far approvare in Consiglio regionale questa norma, dopo le prossime elezioni provinciali», chiude convinta Robol.