Smith & Wesson, il «digestivo» di Baricco
Trento, al Teatro Sociale uno spettacolo con regia e attori d’eccezione. Buona prova, ma resta in superficie
Il grande successo di Smith
& Wesson, in scena al Teatro Sociale di Trento fino a domani, è facile da spiegare. Nomi di richiamo sia per quanto riguarda la drammaturgia (firmata da Alessandro Baricco), sia per la regia (la mano è quella di Gabriele Vacis), sia per gli interpreti (Natalino Balasso accompagnato da Fausto Russo Alesi e Camilla Nigro) e una storia ambientata in tempi e luoghi sufficientemente vicini da essere reali, ma abbastanza lontani per poter essere rivestiti di una patina di epicità. Una formula che assicura un buon risultato senza però riuscire a scavare in profondità nella materia umana.
Presso le Cascate del Niagara nei primissimi anni del Novecento tre personaggi mossi da una disperata vitalità e dalla volontà di riscatto si agitano nel tentativo di autoaffermarsi come esseri umani. Il rischio della morte, accettato come possibile e anzi necessario, è il prezzo da pagare per ribadire l’esistenza di vite sull’orlo della dimenticanza. Grande protagonista è la scena, dominata da un unico elemento di forte impatto visivo capace di straordinarie metamorfosi: un cubo di metallo sospeso in grado di farsi casa, cascata, botte.
Tra giochi di parole – Smith&Wesson è anche il nome di una nota azienda statunitense che produce armi da fuoco – e accenni di poesia, Baricco delinea una favola dolceamara con qualche pennellata di morale che lascia tutti contenti e dà l’impressione di aver scavato a fondo nelle miserie dell’uomo. Significativa in questo senso la descrizione dei personaggi, dominati dalle loro azioni e definiti attraverso la professione: Smith, il meteorologo; Wesson, il pescatore; Rachel, la giornalista.
Spicca su tutto la regia di Vacis che concerta la materia scenica e drammaturgica con eleganza, riempiendo di alcuni bei momenti estetici quello che nel tardo Ottocento sarebbe stato definito uno spettacolo «digestivo»: abbastanza intenso da stimolare l’assimilazione della cena, ma non troppo da disturbare il sonno.