Vertenze Cgil Nodo Jobs Act, giovani colpiti
Il punto dell’Ufficio vertenze della Cgil. In 5 anni recuperati 17 milioni di euro
Il Jobs Act ostacola la tutela dei lavoratori. Emerge dai dati nel bilancio dell’ufficio vertenze Cgil. In 5 anni recuperati 17 milioni di euro di cui 3,8 nel 2017. In tutto 2.553 le vertenze aperte l’anno scorso.
TRENTO L’immagine è in chiaroscuro. La luce è restituita da cifre che segnalano l’avvio a conclusione della crisi: sono quelle relative alle vertenze per procedure concorsuali, calate dalle 454 del 2016 a 325 nel 2017. Le ombre, invece, sono allungate dalle ultime leggi sul lavoro, Fornero e Jobs act, che rendono più difficile la tutela dei lavoratori. Infine, le categorie più fragili: giovani, tra i 20 e i 30 anni, sempre più con un contratto a tempo determinato (percentuale cresciuta del 10% in un anno) e stranieri.
È questo, in sintesi, il bilancio dell’Ufficio vertenze e legale della Cgil relativo all’anno da poco concluso: dodici mesi in cui il personale di via dei Muredei ha recuperato per i lavoratori oltre 3,8 milioni di euro, 17 negli ultimi cinque anni: «Cifre importanti, che dimostrano come la crisi abbia inciso in negativo sulle condizioni dei lavoratori e sul rispetto dei loro diritti — chiosa il direttore Romano Vicentini — si tratta di somme relative a fallimenti di due o tre anni fa: le aziende hanno chiuso e le risorse sono state recuperate dal fondo di garanzia dell’Inps». Delle 2.553 pratiche aperte nel 2017, infatti, 278 hanno riguardato il recupero di spettanze non pagate ai lavoratori, 1.892 sono state le consulenze (di queste 1.850 circa per l’assistenza nelle dimissioni online), 325 le procedure concorsuali. Il dato positivo, si diceva, è che da un anno all’altro sono calate di 129 unità — anche se i lavoratori coinvolti sono 1.850 —. Un cambio di passo registrato negli ultimi due trimestri e che con molta probabilità verrà confermato anche nel 2018: «È il segno che ormai si sta concludendo la “fase selettiva” della crisi — conferma Vicentini — Chi ha resistito in questi anni è sufficientemente strutturato per restare sul mercato».
Ripresa, dunque. Ma la percentuale di lavoratori che si è rivolta all’ufficio con un contratto a tempo determinato è salita dal 17 al 27%: si tratta per lo più di giovani. «Si rivolgono a noi per la pratica delle dimissioni online, segno di un’elevata mobilità nella fase iniziale della vita lavorativa — evidenzia il direttore — ma anche di conflittualità: i giovani accedono al mercato del lavoro molto spesso con contratti precari, che invece di stabilizzarsi si chiudono». Non solo. La diminuzione delle pratiche aperte per il recupero crediti (da 475 nel 2007 a 278 nel 2017) è anche la spia di «una maggiore difficoltà nel tutelare i lavoratori — ammette Vicentini — La legge Fornero del 2012 ha liberalizzato il contratto a tempo determinato, introducendo solo limiti temporali mentre prima prevedeva una causale. Più preoccupante ancora è il Jobs act, che ha monetizzato il licenziamento: per i rapporti di lavoro iniziati dopo il 2015 i licenziamenti immotivati possono essere liquidati con due mensilità per ogni anno». Una tutela che avrebbe potuto portare al reintegro sul posto di lavoro è stata, dunque, sostituita da un incentivo monetario. Una delle conseguenze? «Con quale forza un lavoratore può reclamare un diritto non rispettato sapendo che può essere licenziato con poche mensilità?» si chiede Vicentini.
Si conferma, infine, il 30% di pratiche aperte da lavoratori stranieri: «È la riprova che si tratta di un segmento debole — conclude il direttore — che spesso subisce il mancato rispetto dei propri diritti».
Vicentini Il 30% delle pratiche sono stranieri, un segmento debole
Il licenziamento pareggiato da qualche mensilità comprime i diritti