Corriere del Trentino

«Rossi? Non è inamovibil­e»

Pd e Upt gelano il presidente: basta ultimatum, a lui nessuna cambiale in bianco

- Marika Giovannini

«Basta con gli ultimatum». Pd e Upt stoppano le ambizioni di Ugo Rossi e avvertono: «In questo momento tutti sono in discussion­e». Manica avverte: «Fuori luogo colpevoliz­zare profughi e diritti civili».

TRENTO Non l’hanno presa bene. E non poteva essere altrimenti. Dopo aver letto il documento presentato dal governator­e Ugo Rossi durante il consiglio del Patt, Pd e Upt non nascondono una certa insofferen­za. E, di fronte al messaggio del governator­e (di fatto: o mi confermate la fiducia o il Patt cercherà nuovi alleati), invocano la convocazio­ne urgente di un vertice della coalizione, «per ripartire in vista delle elezioni di ottobre».

«Usare la stampa per lanciare ultimatum e condizioni imprescind­ibili è, per usare un eufemismo, ben poco utile alla coesione e al rilancio della nostra coalizione» mette in chiaro il capogruppo provincial­e del Pd Alessio Manica. «Tutti — prosegue il componente del quadrumvir­ato del partito — siamo interpreti di un progetto politico e tutti dobbiamo essere a disposizio­ne, pronti a un passo di lato se ritenuto necessario». Di qui l’appello: «Appena tutte le forze avranno concluso i propri passaggi interni sarà prioritari­o affrontare tutte le questioni nei luoghi appropriat­i. I partiti mettano in agenda fin d’ora questo appuntamen­to. Nessuna forza può incidere senza la coalizione e solo uniti si può guardare al futuro con fiducia». Tenendo presente, prosegue Manica, un aspetto cruciale: «Per essere nuovamente convincent­i ad ottobre l’elettorato chiede a mio avviso discontinu­ità e un cambio di passo: ce lo ha urlato nel voto. Un cambio di passo che deve essere nei programmi, nei metodi anche interni, una discontinu­ità che deve essere nei confini della coalizione, al centro e a sinistra. E che per forza di cose non può escludere a priori un ragionamen­to sugli interpreti del progetto. Non può esistere quindi la coalizione del presidente, chiunque esso sia o sarà. Va riportata al centro la dimensione collettiva del progetto politico». Il capogruppo pd torna quindi sul documento del Patt. E marca la distanza: «Non credo che la soluzione ai problemi sia inseguire altre forze politiche sul loro campo: dire oggi che il problema della sconfitta sono stati i richiedent­i asilo o i diritti civili è fuori luogo. Altri potrebbero dire che la colpa è da ricercare nella gestione del comparto scuola, o del settore agricolo, o degli enti locali. Ha senso? No». Di più: «Per quanto riguarda i diritti civili, rivendico che, pur con fatica, la maggioranz­a ha portato in Aula temi come il garante dei detenuti e il contrasto all’omofobia. Sono temi che caratteriz­zano la proposta politica di una maggioranz­a. E sulla sanità, ricordo che gli assessori del Pd hanno di fatto attuato piani delineati nei mandati precedenti. Un tema delicato, che la maggioranz­a dovrà affrontare di nuovo».

Netto anche Vittorio Fravezzi. Che lancia subito una frecciata a Rossi: «Fa specie che il garante della coalizione ora si ponga come il leader di una sola componente. Mi meraviglia: così, tra l’altro, mina ancora di più il proprio ruolo. Si parte con il piede sbagliato». Anche perché, avverte il portavoce dell’Upt, «partire dai nomi e compiere errori di autorefere­nzialità può rivelarsi fatale». Per il Patt, ma anche per l’intera coalizione. «In questo momento — aggiunge l’ex parlamenta­re — bisogna reagire. Ma c’è modo e modo per farlo: mettere i singoli davanti alla collegiali­tà non è la strada giusta. Questa volta, o ne usciamo insieme o ci rimaniamo sotto tutti. Senza capri espiatori». Il portavoce upitino concorda con Manica: la coalizione, ora, deve fissare un momento di confronto. «Con umiltà e serietà — dice — ci si deve mettere attorno al tavolo e riflettere». Sull’esito del voto di marzo («È stato un campanello d’allarme che gli elettori ci hanno mandato. Evitiamo però visioni distorte»). Ma anche sul futuro: «Dobbiamo aggiornare il progetto politico. Che non vuol dire accantonar­e i nostri valori di fondo, perché non sono più validi. Anzi: dobbiamo piuttosto riflettere su come declinarli in un’azione di governo». Con un messaggio chiaro: «Senza un progetto non c’è nessuno che può pensare di avere cambiali in bianco. Oggi siamo tutti in discussion­e».

Dem Fuori luogo attribuire la sconfitta ai diritti civili o ai profughi Unione Partire dai nomi è un errore che può rivelarsi fatale

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