FACEBOOK, CURA SBAGLIATA
L’invito, ai medici e alle istituzioni sanitarie, a utilizzare maggiormente i social network è difficilmente contestabile a prima vista, considerando le ragioni illustrate sul nostro quotidiano da Eugenio Santoro dell’istituto Mario Negri di Milano: corretta informazione, contrasto alle fake news, condivisione di contenuti, aggiornamento, collegamenti e reti relazionali. D’altra parte, l’ingresso di aziende e operatori sanitari, nonché del ministero della Salute in un’arena quale quella dei social media è un’operazione delicata. Facebook nasce come strumento di connessione tra individui, non come strumento di informazione pubblica: un «peccato originale» che porta ad appiattire la rilevanza e la credibilità di quanto vi appare, indebolendo meccanismi reputazionali seri per favorire, in ogni settore, una superficialità spacciata strumentalmente per democraticità. Si confondono notizie vere e false, dati scientifici, opinioni personali e sfoghi.
Il rapporto di Facebook con la riservatezza è poi tutt’altro che lineare. L’interesse principale del social network è l’acquisizione (e la vendita) di dati relativi al vero prodotto che tratta: noi. Riconoscere esplicitamente Facebook come area di informazione sanitaria significa accreditarlo ulteriormente, con un’incentivazione indiretta della condivisione di dati sensibili, al di fuori di una tutela efficace adottata dalla piattaforma o imposta dai pubblici poteri. Il caso Cambridge Analytica dovrebbe mettere in guardia: misure preventive e spontanee di tutela della privacy si vedono raramente; «pentimenti» e misure di recupero tardivi sono più frequenti. Senza un’opera di educazione dei fruitori delle notizie, vere o false che siano, il rischio è anche un altro: abbassare la soglia di attenzione nei confronti di quello che troviamo in Rete. Chi sparge fake news, a tutti i livelli (politico, commerciale, ma anche sanitario) è generalmente più determinato e più abile nell’utilizzare meccanismi tecnici, ma anche psicologici, funzionali al convincimento delle persone, rispetto a chi fa corretta informazione. Il pericolo è di trovarsi a giocare, se non in campo avverso, con regole che l’avversario conosce e sa manipolare.
Un’alternativa fantascientifica? Utilizzare Facebook, piattaforma commerciale, per quello che era nato, chiarendo che i luoghi dove informarsi (di salute, ma non solo) sono altri. O non c’è più nulla da fare, dottore?