Mori, l’avan-teatro apre con Stratr*ia
Doppie «Rifrazioni Indipendenti»
In fisica, far subire a un raggio di luce una rifrazione significa rendere visibile un ventaglio di colori, dal rosso al violetto. Oltre che un semplice esperimento di laboratorio, questo fenomeno è una comune esperienza. Chi non ha mai sgranato gli occhi di meraviglia per un arcobaleno in cielo, dopo un acquazzone? E chi non ha mai creduto di vedere una cannuccia «spezzata» nel bicchiere della bibita fresca?
Nuove realtà, illusorie ma stupefacenti, si manifestano ai nostri occhi quando la luce «cambia mezzo di propagazione», passando dall’aria all’acqua. Rifrazioni. Cambiamenti. Un semplice effetto di natura che anche l’arte può causare, forse anche un certo teatro originale e sperimentale. In questo caso, a essere scomposta e rivelata è la parola, quella ritenuta uniforme, quella che si dà per scontata e che, invece, sapientemente scritta da giovani autori innovativi e coraggiosamente giocata sulla scena dagli attori, determina l’esplosione di significati brillanti e cupi, minuscole parti di senso che possono far apparire nuove descrizioni della realtà, nuove consapevolezze di un’identità apparente.
Nella suggestione di questa prospettiva si pone il festival teatrale d’avanguardia Rifrazioni Indipendenti, ideata dalla compagnia Evoè! Teatro di Rovereto. In scena venerdì e sabato al Teatro Sociale «Gustavo Modena» di Mori, la rassegna ospiterà due opere ispirate alla vita delle piccole comunità che, se scomposte e distorte attraverso il prisma di una scrittura e di una scena senza autocensure, possono rivelare un lato turpe, i fiori più luridi delle valli idilliache.
Il sipario si apre il 6 aprile alle 20.45 con Stratr*ia della compagnia nomade Ortika, mentre il giorno seguente sarà la volta di Malagrazia del gruppo milanese Phoebe Zeitgeist. Sono due lavori dalle tematiche forti.
Il primo è un testo di Chiara Zingariello (regia di Alice Conti) che punta la penna su un’immaginaria piccola comunità sconvolta dalla scomparsa di una ragazza. Una serie di personaggi maschili sfila, la ricorda, la racconta, ognuno portando un pezzo di identità sconosciuta nel suo complesso. È un’indagine sul corpo femminile, sulla misoginia e sulla violenza di genere.
Saranno due fratelli, invece, i protagonisti di Malagrazia di Michelangelo Zeno, regia di Giuseppe Isgrò. Rinchiusi, soli, con il pensiero costante del fuori, i due fratelli orfani reinventano la propria sconosciuta storia familiare. Due superstiti che indagano sulle cause della fine.