«Gatto selvatico, il vero pericolo è l’ibridazione»
Il docente di zoologia della Sapienza: «Specie quasi scomparsa in diverse aree d’Europa»
TRENTO «Il gatto selvatico non è una specie di per sé a rischio, ciò che la minaccia è l’ibridazione con gli esemplari domestici». Una riflessione che il professore Luigi Boitani, ordinario di Zooologia all’università «La Sapienza» di Roma, fa all’indomani del primo avvistamento in Trentino di un esemplare di questa specie. «Una specie davvero preziosa — chiosa ancora lo studioso — a maggior ragione se si pensa che in diverse aree d’Europa è scomparsa». Boitani, che è anche presidente del «Large carnivore initiative for Europe», è ritenuto uno dei massimi esperti in materia di fauna selvatica, al punto di essere tra i redattori del Piano d’azione nazionale per la conservazione e la gestione del lupo. E per salvaguardare la sopravvivenza del gatto selvatico è importante, appunto, evitare il rischio di ibridazione con i gatti domestici. «Si registra una percentuale altissima di esemplari ibridi — osserva ancora Boitani — per fare un esempio, in Scozia il gatto selvatico è quasi del tutto scomparso. Per contenere il rischio, bisognerebbe cercare di tenere i gatti domestici in casa». Altre zone in cui è particolarmente elevata la presenza di esemplari ibridi sono l’Ungheria e alcune regioni della Germania, come la Turingia, dove si toccano punte del 40% sulla popolazione complessiva di riferimento. Al contrario, nel Triveneto si registra una ripresa dell’insediamento dei gatti selvatici, cona una fase di forte espansione, che si stima iniziata negli anni ’60 e ’70, in particolare nelle Prealpi trevigiane e bellunesi. Certo, per un occhio inesperto non è sempre facile distinguere un esemplare selvatico da uno domestico o da un ibrido. «Non è facile — conferma il professor Boitani — a maggior ragione se non c’è la possibilità di osservarlo da vicino e con attenzione, conoscendone le caratteristiche peculiari». Il gatto selvatico europeo si distingue dal gatto domestico per vari caratteri interni ed esterni, ma anche il solo esame del disegno e del colore del mantello consente di riconoscerlo con precisione. «Tra i principali elementi distintivi — rileva una nota della Provincia — la coda clavata con anelli neri staccati, la striscia nera vertebrale che si arresta prima dell’origine della coda, le orecchie ocra senza apice nerastro, quattro strisce nere nella regione occipitocervicale e quattro toraciche verticali nere, il colore fieno del mantello».
Serve attenzione nella gestione degli esemplari domestici