IL PD RIFLETTA SULLA SUA CRISI
Dopo la sconfitta del 4 marzo, il Pd è riuscito in un tempo brevissimo a eleggere un nuovo segretario, Giuliano Muzio. Un esito non scontato. L’urgenza di cercare soluzioni in grado di dare stabilità al partito ha prevalso su quanti avrebbero preferito la nomina di un gruppo di lavoro che portasse il Pd fino alle elezioni provinciali. Nella sua prima intervista di domenica su queste colonne, il neosegretario dimostra un certo realismo: non nasconde che il Pd debba affrontare molti e intricati nodi, ma ricorda come molti di essi sfuggano al controllo del solo Pd locale. Quella del 4 marzo non è stata una sconfitta solamente per il Pd trentino: è stata una débâcle nazionale (inserita in un contesto di crisi della sinistra europea). Le prime mosse del neosegretario daranno tuttavia il senso di quanto egli intenda dare una svolta al Pd. Al riguardo, l’approccio realista potrebbe essere limitato o insufficiente. Dire che occorra trovare una squadra di candidati (e possibili eletti) equilibrata «in cui elementi di novità convivano con la giusta valorizzazione dell’esperienza» può essere condivisibile, ma anche suonare come una formula vuota. Potrebbe inoltre risultare non realizzabile l’anteporre la definizione del programma alla scelta del candidato presidente, come si è visto nel vertice di maggioranza tenutosi ieri (la discussione sul nuovo programma rivelerebbe inevitabilmente una certa insoddisfazione per l’operato del presidente uscente, sostenuto per 5 anni dal Pd).
Leggendo la pur equilibrata intervista, viene da pensare che il Pd non abbia capito fino in fondo quanto profonda sia la crisi in cui si trova. Una crisi che è indipendente dalle «molte cose ben fatte da questa maggioranza» e dal «comunicare meglio quello che si fa». Una crisi che, piuttosto, rimanda alla qualità della classe politica del partito (spesso introversa e litigiosa), al mancato radicamento del partito nelle periferie, alla perdita del sostegno dagli elettori tradizionali di riferimento di una forza di (centro) sinistra. È vero: molte aspetti non dipendono solo dal Pd trentino. Ma la posta in gioco a ottobre sarà la guida della Provincia, e il Pd locale non può attendere che i nodi vengano affrontati a Roma prima che a Trento. Forse varrebbe la pena riflettere non solo sulla sconfitta, ma anche su come i partiti usciti vincenti il 4 marzo abbiano costruito il loro successo. Due elementi andrebbero valutati: la presenza nei territori; l’apertura e trasparenza nei processi di selezione dei candidati del partito.