Giovani, il lavoro del futuro deve unire saperi diversi
Ceschi: prioritario il legame istruzione-impresa». Seghezzi: oltre il modello fordista
TRENTO Il lavoro del futuro: si sa cosa finisce ma non si sa cosa inizia. Se è facile ipotizzare come certe professioni col tempo spariranno — pensiamo ai cassieri — non lo è altrettanto immaginare quali nuove figure verranno richieste dal mercato del lavoro: chi ci pensava nei primi anni Duemila a diventare un social media manager o uno specialista in big data? Questo è solo un aspetto di una questione ampia, complessa e ramificata come il lavoro del futuro, che tocca temi come la tecnologia, l’innovazione, la flessibilità, la formazione e l’aggiornamento.
Di tutto ciò hanno discusso ieri al festival Educa di Rovereto il giornalista del Corriere
della Sera Edoardo Segantini, autore di La nuova chiave a stella. Storie di persone nella
fabbrica del futuro, Francesco Seghezzi, ricercatore e direttore di Fondazione Adapt, e Alessandro Ceschi, direttore della Federazione trentina della cooperazione; a moderare il dibattito Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino, Corriere dell’Alto Adige e Corriere di Bologna. In apertura Ceschi riapre una questione per certi versi paradossale: «Entro il 2020 crescerà del 5 per cento la richiesta di lavoratori qualificati, stimati in 2,5 milioni. Ma spesso oggi i ragazzi che cercano lavoro non hanno le competenze richieste dalle aziende, col risultato che a fronte di una domanda del mercato non si riescono a trovare i profili ricercati. Ma perché questo avviene? — si chiede e chiede ai suoi interlocutori Ceschi — Manca un collegamento tra le aziende e il sistema formativo e quest’ultimo inoltre forse non assolve al meglio alla sua funzione? Qual è il ruolo delle famiglie? Io credo — conclude — che sia una priorità assoluta rafforzare il legame tra scuola e impresa in termini di formazione in base a ciò che il mercato richiede, riuscendo nel contempo a tenere sempre aggiornati i lavoratori già presenti in azienda».
Seghezzi ha uno sguardo critico diacronico: «Quando si parla di mercato del lavoro è necessario considerare i modelli economici e produttivi del periodo in questione e il suo contesto storico e culturale; nonostante le innumerevoli innovazioni a tutt’oggi si può dire che non abbiamo ancora superato la seconda fase della crisi del fordismo, siamo ancora ancorati a un modello vecchio di produttività. La quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo –—continua — ha tutte le potenzialità per andare oltre se saprà porre l’attenzione sulla tecnologia, su modelli di business innovativi, ad esempio la produzione personalizzata e just in time, sulla formazione e la riqualificazione delle competenze e su l’andamento demografico, fattori come natalità ed età media; occorrerà inoltre un ripensamento dei servizi per l’impiego».
Al momento solo il 30 percento delle aziende italiane si sta innovando tecnologicamente, ma l’importante secondo Segantini è comunque «progettare l’occupazione dentro l’innovazione, destinare maggiori risorse alla formazione e all’aggiornamento professionale, solo l’8% dei lavoratori italiani vi è coinvolto, contro il 30% dei tedeschi, aumentare la partecipazione dei dipendenti e saper coinvolgere saperi diversi: alla Nokia non c’erano solo ingegneri ma anche psicologi e antropologi, alla Apple è uguale». Per Enrico Franco nonostante «l’atteggiamento arretrato del sistema imprenditoriale italiano» non bisogna lasciarsi andare «al pessimismo o alla malsana pratica di accusare sempre qualcun altro quando le cose vanno male; è indubbio che l’Italia abbia tradito e stia tradendo i giovani ma loro ce la faranno comunque, cambiando il sistema lavorativo dall’interno col pensiero e l’innovazione».