Mani Pulite in fumetto
La graphic novel di Boschetti per Becco Giallo Il libro sarà presentato a Bolzano il 18 maggio
Becco Giallo, l’editore specializzato in reportage a fumetti, approda in libreria con Mani Pulite, il graphic novel firmato dallo scrittore bolzanino Alex Boschetti e illustrato da Giovanni Pullano che racconta a ritroso uno degli episodi più importanti della nostra storia recente, la maxi inchiesta che a partire dagli anni Novanta coinvolse il mondo della politica e dell’imprenditoria sconvolgendone per sempre gli assetti. Dai processi Sme, Imi-Sir e Lodo Mondadori alla discesa in campo di Berlusconi, dalla legge salva-ladri del ministro Biondi alle proteste di piazza, Mani Pulite ha coinvolto oltre mezza classe dirigente italiana, rappresentando una svolta epocale, mai del tutto conclusa. Abbiamo incontrato Boschetti, che il 18 maggio sarà a Bolzano per presentare il volume.
Per chi non lo ricordasse o fosse troppo giovane, cos’è Mani Pulite?
«È nota come un insieme di inchieste che dal 17 febbraio 1992 (arresto di Mario Chiesa, il mariuolo isolato, secondo la definizione di Bettino Craxi) fino alla fine del 1994, ha cercato di affrontare un sistema diffuso di collusione politicoimprenditoriale che ha movimentato una quantità di capitali che oggi sarebbe inimmaginabile. Personalmente penso che si sia trattato di qualcosa di più, che ha a che fare con un processo storico, più che con una rivoluzione giudiziaria. L’attuale Procuratore Capo della Procura di Milano, Francesco Greco, esponente del famosissimo “pool” mi disse un giorno: “In pochi anni abbiamo sentito o interrogato più di mezza classe dirigente italiana, circa quattromila tra imprenditori pubblici, privati e politici. Davvero crediamo ancora che parlare di Mani Pulite significhi parlare
di un’indagine? Non ha forse più a che fare con una rivoluzione storica e sociale?».
Sono passati 26 anni da quando il vaso di Pandora è stato scoperchiato, perché avete deciso di raccontarlo ora e perché a fumetti?
«È stata un’idea dell’editore che mi ha contattato per lavorarci. Ho accettato con entusiasmo perché questa nevrotica dicotomia tra giustizialismo e garantismo, nella recente comunicazione politica, elettorale e di costume andava affrontata anche con gli strumenti storici e narrativi e perché il vaso di Pandora all’epoca era così colmo, che non ha ancora smesso di riversare i mali del mondo né
tanto meno molti protagonisti negativi di allora, oggi tirati a lucido. Per fortuna la mitologia ci ricorda che nel vaso rimase intrappolata la speranza, che non fece in tempo a uscire prima che venisse richiuso». Perché il fumetto si apre con EXPO 2015?
«Giornalisticamente, la fine di Mani Pulite si fa risalire all’ultima requisitoria di Antonio Di Pietro per il processo Enimont, il 6 dicembre 1994. In realtà non è così. I meccanismi corruttivi, il sistema dei favori e le grandi operazioni economico finanziarie agite fuori da un contesto di regole condivise, non sono mai cessati, e le condanne esecutive
per turbative d’asta che hanno coinvolto imprenditori e faccendieri durante gli appalti per EXPO 2015 ne sono una conferma».
La postfazione si apre dicendo che Mani Pulite è tutto e il contrario di tutto…
«Ci sono state varie fasi, che si sono susseguite in modo tumultuoso e si sa, i polveroni rendono meno netti i contorni delle vicende. Spesso gli eroi sono diventati criminali dall’oggi al domani, e viceversa. I magistrati, ad esempio, prima idolatrati come cavalieri di giustizia, poi additati come cinici giustizieri abbagliati dalla gloria. Si sono generati cortocircuiti emozionali ed estetici controversi».
Come si è rapportato con i protagonisti delle vicende narrate?
«Quasi sempre attraverso incontri diretti e conversazioni a tu per tu. Soprattutto con alcuni dei magistrati protagonisti, che mi è anche capitato di incontrare nelle stesse sedi in cui si erano svolti gli interrogatori più eclatanti di Mani Pulite. Ciò mi ha anche consentito di respirare certe atmosfere e di immaginarmi in modo più realistico e umano alcune situazioni».
Quale è stato l’aspetto più difficile da gestire nel processo di documentazione e di creazione?
«Evitare lo stereotipo. Anche perché ragioniamo di un processo storico fortemente intriso di simboli e immagini evocative, che possono anche aiutare a orizzontare la memoria, ma spesso tradiscono la complessità e la profondità delle vicende».