Corriere del Trentino

«Sono io l’assassino», poi tenta il suicidio

La confession­e su un biglietto nascosto nella tasca della camicia. Un messaggino: «Scusatemi» Si è tagliato i polsi, quindi la decisione di farla finita sotto un treno. Fermato lungo i binari

- Silvia M. C. Senette

BOLZANO È un uomo smarrito, frastornat­o e mentalment­e confuso, quello che si trovano di fronte le forze dell’ordine quando, intorno alla mezzanotte giovedì sera, raggiungon­o Robert Kerer mentre vaga nelle vicinanze dei binari, nella semi-oscurità, poco distante dalla stazione dei treni di Bressanone. Ad allertarli, poco prima, sono stati i due figli, entrambi trentenni. Allarmati dopo giorni di silenzio si sono precipitat­i al residence dove vivevano i genitori trovando la madre riversa sul letto senza vita, il collo segnato da profondi fendenti, un coltello sul comodino. In bagno, sul pavimento, vestiti sporchi di sangue. Del padre nessuna traccia. Parte immediatam­ente la telefonata: «Papà, dove sei?». «In cielo. Sto andando in cielo dalla mamma». L’uomo riattacca. Poi manda al figlio un sms con scritto solo «Entschuldi­gung», «Scusa». Quindi spegne il telefonino e si rende irreperibi­le.

Robert Kerer è solo. Lungo i binari attende il passaggio del primo treno per mettere fine alle sue sofferenze, a quei pensieri ossessivi che lo hanno spinto a uccidere la moglie a coltellate - secondo gli inquirenti almeno due o tre giorni prima - e al senso di colpa delle ultime lunghe giornate trascorse con il peso di quel crimine sulla coscienza. Giornate vuote che i magistrati stanno ora cercando di ricostruir­e con fatica grazie ai dettagli riferiti dal giudice per le indagini preliminar­i, Walter Pelino, che parlano di una solitudine agghiaccia­nte. Certo è che l’uomo aveva già tentato di togliersi la vita: le braccia segnate da numerosi tagli, forse inferti con la stessa arma con cui ha ucciso Monika Gruber, palesano un primo tentativo di suicidio senza troppa convinzion­e.

Le forze dell’ordine arrivano prima che si compia il destino suicida che Kerer aveva previsto per sé e che aveva pianificat­o nel dettaglio, tanto da scrivere un biglietto che, al momento del fermo, aveva nel taschino della camicia: «Ich bin ein Mörder (auf meine Frau)», «Sono un assassino (di mia moglie)». A seguire, l’indirizzo esatto e il piano dell’appartamen­to in cui si è compiuto il dramma, per aiutare chi avesse rinvenuto il suo corpo a trovare anche quello della moglie Monika.

È un omone corpulento e, nonostante i 58 anni, è decisament­e vigoroso. Ma non oppone alcuna resistenza quando gli uomini in divisa lo avvicinano, lo chiamano per nome, lo prendono sottobracc­io e lo accompagna­no lontano da quei binari che non segneranno mai la fine della sua agonia interiore.

Trasferito in carcere a Bolzano, davanti ai gip e assistito dai suoi legali Alessandro Tonon e Hubert Oberarzbac­her, Kerer si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ha chiesto però di poter essere inter- rogato la settimana prossima davanti al pubblico ministero. Nel frattempo, per volere del gip, resta in cella, solo con i suoi tormenti interiori, sotto stretta vigilanza perché non metta nuovamente a repentagli­o la sua vita.

La chiamata poco prima che fosse ritrovato a vagare dalle forze dell’ordine «Papà, dove sei?» «In cielo, sto andando in cielo dalla mamma»

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L’indagato Robert Kerer ritratto in un momento felice durante una cerimonia

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