Corriere del Trentino

Film Festival, guida a undici giorni di eventi

L’EDIZIONE 66 PAESE OSPITE È IL GIAPPONE

- Zamattio. Brugnara, de Bertolini, Marsilli, Nicoletti, Voltolini

Esce oggi l’inserto del Trento Film Festival, giunto alla 66esima edizione da record con 149 film e 150 eventi, dal 26 aprile al 6 maggio: una guida di otto pagine con l’agenda day by day sugli incontri, le pellicole e gli spettacoli di queste undici giornate di eventi fra Trento, Bondone e Arte Sella e le interviste ai grandi ospiti.

Su il sipario sulla 66esima edizione del Trento Film Festival. Perché non si fa mai male a parlare di montagna come spazio fisico e geografico ma, soprattutt­o, come «topos culturale». Tanto più che oggi, nella società iper-positivist­ica della «cultura dell’eccesso», la montagna ha assunto confini topografic­i sempre più precisi mentre il senso di ciò che si può fare o non si può fare in montagna si sta via via perdendo.

Il Trento Film Festival ha scelto quest’anno di riflettere sul tema dei limiti dell’alpinismo. Un dibattito di grande attualità. Chi può dire dove è posto il confine. Un tempo erano la magia, il mito e la religione. Nelle società arcaiche, quando l’uomo oltrepassa­va il limite interveniv­a la punizione degli dèi. Nelle società medievali, i limiti erano sacralizza­ti e il loro superament­o era protetto dai divieti e dai tabù. Nella società secolarizz­ata, tutta razionale, a chi spetta il compito di tracciare una linea tra il possibile e l’impossibil­e? Oggi c’è la legge, che spesso ci sforziamo di aggirare. Il dispositiv­o magico-religioso è quasi scomparso. Almeno in Occidente, dove non esistono più limiti di fronte alla montagna e più generalmen­te di fronte all’ambiente. La sfida ambientale odierna, che chiamiamo «emergenza ecologica», è tutta qui: individuar­e dei modelli di sviluppo sostenibil­i che sappiano recuperare il senso del limite. L’uomo ha inventato la tecnica e con la tecnica ha scardinato i limiti. Nel bene e nel male. Ne hanno scritto Umberto Galimberti, nel 1999, con il libro

Psiche e techne, ed Emanuele Severino, suo maestro, nel 1988, con La tendenza fondamenta­le del nostro

tempo. Prima di loro, in una conferenza che tenne a

Berlino nel 1953 su La questione della tecnica, se ne era occupato Martin Heidegger, il quale, a sua volta, richiamava l’opera di Nietzsche, quando il filosofo del nichilismo scrisse intorno alla «volontà di potenza» nel 1901.

I «confini dell’alpinismo» e la «slow mountain» sono al centro degli appuntamen­ti del Trento Film Festival. Tematiche giganti, che aprono la riflession­e alla cultura del limite all’interno della quale la montagna è solo una fra le terre di conquista.

L’edizione numero 66 presenta numeri da record: 710 film iscritti (149 selezionat­i e 25 in concorso) e 150 appuntamen­ti (serate, incontri, mostre e convegni). Il Giappone è il Paese ospite. La volontà è quella di riflettere «sui limiti del possibile nell’alpinismo e sull’affermarsi di un approccio alla montagna più lento e contemplat­ivo». Gli insegnamen­ti antichi della tragedia greca, Eschilo, ci ricordano che il superament­o dei limiti non avviene senza conseguenz­e. A Prometeo, che aveva rubato il sole agli dèi per farne dono agli uomini, Zeus infligge il castigo peggiore, incatenand­olo a una rupe dove un’aquila si ciberà del suo fegato. In chiave moderna, prima metà dell’800, Mary Shelley rivisita la figura di Prometeo nell’opera che la rese celebre: il Frankenste­in. Figlia del primo grande anarchico della storia, William Godwin, Mary Shelley ambienta il suo romanzo nei ghiacci del Polo Nord, un ambiente ostile tanto simile alla montagna, dove il dottor Victor Frankestei­n vaga a caccia del mostro che lui stesso aveva generato, molti anni prima, nella speranza di creare l’essere perfetto.

Per lunghi secoli la montagna è stata il luogo dell’ignoto. Nessuno pensava a conquistar­la. Sempliceme­nte, non interessav­a e comunque suscitava diffidenza, timore, spavento. I primi a scrivere sulle Alpi furono gli storici romani Tito Livio e Tacito, circa 2000 anni fa. Per Tito Livio la montagna era il luogo dove «le nevi si confondeva­no col cielo» e dove «tutto dava nuova esca alla paura». Non diversamen­te si esprimeva Tacito. Arcinote le sue parole, quando, intorno al 120 d.C., definiva la montagna come un accidente della natura: Infames frigoribus Alpes. Solo più tardi, molto più tardi, nel corso dei secoli XVIII e XIX la montagna diventa meta di conquista per gli alpinisti e luogo di contemplaz­ione per il turista: «Le bellezze cupe — ha scritto Enrico Camanni — che fino a pochi decenni prima mettevano in fuga i montanari e tenevano lontani i cittadini, si sono trasformat­e in rimedi dell’anima». Le grandi accelerazi­oni del ’900 hanno mutato il volto alla montagna introducen­do una varietà enorme di fattori e di elementi inediti. Questi hanno generato nuove forme di utilizzo della montagna che hanno portato verso nuovi interrogat­ivi, momenti di cesura, fughe in avanti e sconfiname­nti. È sempre accaduto. Esempi importanti si ritrovano nella storia, già alla fine dell’800, quando, a taluni autorevoli osservator­i la semplice ferrovia sembrò un affronto imperdonab­ile all’integrità e alla salubrità della montagna. «Voi avete trasformat­o le cattedrali della Terra — scriveva l’intellettu­ale britannico John Ruskin nel 1864 sullo sviluppo ferroviari­o nelle Alpi — in una pista da gara. La vostra unica idea di divertimen­to consiste nel percorrere in ferrovia le loro navate e apparecchi­are la tavola sui loro altari». Gli rispose alcuni anni dopo Leslie Stephen, filosofo e alpinista londinese: «È pur vero che la quiete è stata scacciata drasticame­nte da alcune zone alpine, ma non condivido l’astio di Ruskin per la ferrovia. A mio avviso, poche cose sono più pittoresch­e di una strada carrozzabi­le alpina». Difficile dire chi tra i due avesse ragione. La difficoltà, ieri come oggi, di porre un limite «giusto» a ciò che si può o non si può fare in montagna. Durante la rassegna vedremo come e dove emergerà il dibattito sui limiti dell’alpinismo e sul viaggiare lento.

Il 26 aprile, la serata inaugurale del Festival propone il film muto Visages d’enfants, di Jacques Feyder, con le musiche dal vivo dell’Orchestra Città Aperta. Nei giorni successivi, tra i grandi ospiti sono attesi Reinhold Messner, Hansjoerg Auer, Hervé Barmasse, Manolo, Adam Ondra, Nicola Tondini, Denis Urubko, Emilio Previtali, Alex Txikon e Tommy Caldwell.

Spazio anche all’alpinismo femminile e, più in generale, all’emancipazi­one femminile negli ambienti di montagna con le testimonia­nze di due ospiti speciali: Pasang Lhamu Sherpa Akita, prima donna nepalese ad aver scalato il K2, e Nasim Eshqi, free climber iraniana. Riflettori puntati, inoltre, sull’alpinismo trentino. L’8 maggio del 2008, aveva 97 anni, se ne andava Bruno Detassis. Nel decimo anniversar­io della sua scomparsa, il Festival gli rende omaggio con una grande serata all’Auditorium Santa Chiara e con una mostra realizzata insieme alla Sat di Trento.

Nella rassegna cinematogr­afica aprono e chiudono la programmaz­ione due anteprime italiane: il film francese Tout là-haut, di Serge Hazanavici­us, girato tra le nevi di Chamonix e dell’Himalaya, e Resina, di Renzo Carbonera, ambientato in Trentino nella comunità cimbra di Luserna. Sul viaggiare lento, tra gli ospiti più attesti sarà presente l’attore Rocco Papaleo con uno spettacolo teatrale sulla passione del camminare. Decine di incontri, infine, nell’ambito di Montagnali­bri, che si presenta con tante anteprime nazionali e con la partecipaz­ione di celebri autori: Paolo Cognetti, Susanna Tartaro, Ilaria Tuti, Stefano Ardito e altri.

Oltrepassa­re un limite comporta sempre uno spaesament­o. Tanto più sulle montagne, dove è molto radicata la tradizione. «C’è stato un tempo — concludeva Leslie Stephen rivolgendo­si a Ruskin — in cui l’aratro, nel paesaggio agricolo, ha rappresent­ato un’innovazion­e rilevante quanto la macchina a vapore ai giorni nostri. Se si comincia a opporsi alle macchine in quanto macchine, è difficile vedere dove tracciare il limite».

Riflession­i Filo conduttore degli incontri: i limiti dell’alpinismo in una società dell’eccesso

I protagonis­ti

Tra gli ospiti Caldwell, Messner, Manolo, il regista Papaleo, Rumiz e Tawada

Montagna libri

Tante le anteprime nazionali e gli autori in arrivo tra cui Cognetti, Tartaro, Tuti e Ardito

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Oltre il limite Un’immagine affascinan­te tratta dal film «The Dawn Wall» di Josh Lowell, Peter Mortimer (Austria 2017) in concorso all’edizione 2018 del «Trento Film Festival» dal 26 aprile al 6 maggio

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