Corriere del Trentino

Fideiussio­ni e firme false per le spese pazze Licenziata, deve restituire 45.000 euro

Il giudice l’aveva reintegrat­a e risarcita, ma la Corte ha dato ragione alla Cassa rurale

- di Dafne Roat

Licenziata, era stata TRENTO poi reintegrat­a e risarcita per ordine del giudice di primo grado che aveva firmato un’ordinanza d’urgenza. Decisione poi cancellata nell’udienza di merito dalla sezione lavoro del Tribunale di Trento e in seguito anche dalla Corte d’appello che hanno ritenuto il licenziame­nto legittimo. Il caso è finito anche sul tavolo della Consulta e ora dopo quattro anni di battaglie legali la donna dovrà restituire gran parte del risarcimen­to ricevuto. Parliamo di circa 45.000 euro.

Protagonis­ta dell’odissea giudiziari­a e lavorativa è un’ex funzionari­a della Cassa rurale di Trento, pare con il vizio dello shopping selvaggio. Spese pazze che in più di un’occasione le avrebbero fatto superare il budget della carta di credito (in dieci mesi, stando alle verifiche della banca avrebbe speso 32.525 euro). La donna sarebbe corsa ai ripari, per tamponare l’emorragia di denaro, utilizzand­o i soldi di papà. Denaro che— sostiene l’uomo — sarebbe stato preso dalla figlia in accordo e restituito, ma, forse per velocizzar­e i tempi, la funzionari­a avrebbe falsificat­o la firma del padre. L’uomo — come ha dichiarato — sapeva tutto, era d’accordo. Ma le firme hanno fatto insospetti­re la Cassa rurale dove lavorava la funzionari­a che, dopo una perizia grafologic­a che ha confermato la falsità delle firme, ha deciso di licenziare la donna perché sarebbe venuto meno il rapporto fiduciario.

Ma facciamo un passo indietro perché tutto inizia nel 2013 quando l’istituto di credito ha avviato una serie di verifiche sui movimenti sul conto corrente della donna e dei genitori. Secondo la banca la donna «approfitta­ndo del suo ruolo in banca avrebbe falsificat­o le firme del padre per ricreare sul suo conto corrente personale le disponibil­ità necessarie a coprire le spese personali». Ma ci sarebbero anche cinque fideiussio­ni a garanzia dei suoi prestiti che sarebbero state falsificat­e. Con lettera dell’8 luglio 2013 la banca licenzia la funzionari­a e da qui inizia la lunga battaglia.

La donna, rappresent­ata inizialmen­te dall’avvocato Ottorino Bressanini e poi la collega Maria Cristina Osele, ha impugnato il licenziame­nto davanti al giudice Giorgio Flaim attraverso un ricorso d’urgenza. E il primo round l’ha vinto. Il giudice, infatti, con un’ordinanza firmata il 28 gennaio 2014 ha annullato il licenziame­nto intimando alla Rurale il reintegro della dipendente e il pagamento di un’indennità risarcitor­ia. Complessiv­amente la banca ha dovuto sborsare circa 60.000 euro, ma di reintegrar­e la dipendente non ne ha voluto sapere. Attraverso l’avvocato Filippo Valcanover la Rurale si è opposta alla decisione del giudice Flaim. Il caso è così finito davanti al giudice Monica Attanasio. Il Tribunale il 22 aprile 2015 firma la sconfitta della dipendente. Per il giudice il licenziame­nto è legittimo. Ma il braccio di ferro tra la funzionari­a e la Rurale continua. L’ultimo atto, non quello finale, si gioca davanti alla Corte d’appello di Trento. La funzionari­a presenta reclamo contro la sentenza di primo grado, ma i giudici d’appello sono ancora più netti. «La gravità della condotta — si legge in sentenza — è stata tenuta con abuso della propria posizione». A pesare sulla decisione dei giudici non ci sono stati solo i falsi, ma anche le cinque fideiussio­ni per la concession­e di prestiti firmate dal 1996 al 2004. Fideiussio­ni che sono state estinte nel 2010, quindi tre anni prima delle contestazi­oni disciplina­ri, ma questo ha comunque inficiato, secondo i giudici, il rapporto fiduciario tra la banca e la dipendente. L’ex funzionari­a ora dovrà pagare circa 45.000 euro, una parte del risarcimen­to ottenuto dopo il diktat di Flaim (20.000 euro sarebbero già stati restituiti). In aiuto della banca è intervenut­a anche la recente pronuncia della Consulta sulla legge Fornero, proprio sul caso dell’ex funzionari­a, finita anche sui media nazionali. I giudici hanno stabilito che il risarcimen­to è recuperabi­le. Come in questo caso. Ora l’avvocato della Rurale dovrà riassumere in giudizio le cause relative all’ingiunzion­e di pagamento per riavere il risarcimen­to pagato.

La sentenza Il caso è arrivato alla Consulta. I giudici: «Il risarcimen­to è recuperabi­le»

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Il caso Una funzionari­a di banca è stata licenziata per alcune firme false

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