Verónica (Kika) Forqué «Pedro è sempre avanti»
L’attrice di Almodòvar inaugura oggi il festival a Trento
Èunanimemente considerata una delle grandi attrici del cinema europeo. Madrilena, classe 1955, Verónica Forqué ha dato corpo a indimenticabili interpretazioni per Fernando Colomo, Luis García Berlanga, Fernando Trueba e soprattutto Pedro Almodóvar, che affidandole la parte di Kika nel 1993 la consacra alla vittoria di uno dei suoi quattro premi Goya: per la prima volta a Trento, l’attrice spagnola inaugurerà la quarta tappa, sostenuta dal servizio attività culturali della Provincia e da Trentino film commission, del Festival del cinema spagnolo da oggi a giovedì al cinema Astra.
Forqué, lei presenterà Kika a Trento: cosa ha significato l’incontro con Almodóvar?
«Per me è stata una grande fortuna lavorare con lui. È una persona appassionata, divertente, molto generosa sul lavoro. Avevamo instaurato una bella connessione, a tutti i livelli. Kika è stato il mio secondo film con Almodóvar dopo Che ho fatto io per meritare questo?».
Chi è Kika?
«È un personaggio molto ingenuo, naif, che accetta le situazioni più assurde e surreali, anche tragiche, e vi si adatta con assoluta naturalità. È capace di trasformare il dramma in comicità con la sua naturalezza. In questo risiede la grande abilità di Almodóvar, che mi raccontò di essersi ispirato, in fase di sceneggiatura, alla sua amica Bibiana Fernández».
Già nel 1993 il film era un atto di protesta contro la tv del dolore, la tv spazzatura: 25 anni più tardi le cose non hanno fatto che peggiorare.
«Sì, Almodóvar era all’avanguardia, aveva già visto cosa poi sarebbe successo. Il personaggio interpretato da Victoria Abril (Andrea Caracortada, conduttrice televisiva di un seguitissimo programma trash che specula sulla morbosa voglia di voyeurismo, ndr) è molto più oscuro del mio, insieme incarnano commedia e tragedia, due stili cinematografici nello stesso film. La sceneggiatura mi era piaciuta molto da subito».
Qual è la ragione più importante che la spinge ad accettare la proposta di un film?
«Da giovane mio papà, che era un regista, mi diceva di imparare a dire di no. Ho avuto la fortuna di poterlo fare. Giro pochissimi film ora: quando arrivano alla soglia dei cinquant’anni le donne spariscono dalla vita e pure dal cinema, non siamo più così carine come a 28 dunque meno interessanti. E allora io faccio teatro. A ogni modo, quando ricevevo un copione dovevo sentire dentro di me che quella storia meritava di essere raccontata, moralmente o eticamente doveva raggiungere il mio cuore».
A gennaio ha ricevuto il premio Feroz de honor «per aver impregnato della sua inconfondibile personalità una parte sostanziale del cinema e della televisione spagnola degli ultimi 40 anni». Qual è l’impronta che ha lasciato?
«Di solito non si sa perché si riesce ad arrivare al pubblico. E non mi piace rivedermi nei film perché rifarei tutto da capo, sono molto critica con me stessa. A me le persone interessano, sono estroversa e aperta e forse si percepisce. Ho ricevuto poi il dono della comicità e del senso dell’umorismo e la gente vuole ridere: sono davvero grata per l’affetto del pubblico».
Cosa pensa del movimento «Me too»?
«È utile e necessario: le donne non devono più aver paura di parlare. Siamo state educate a non dire mai di no, a essere carine, simpatiche, dolci, a non arrabbiarci: è tremendo e castrante e fa abusare gli uomini del loro potere nel matrimonio come sul lavoro. Ben vengano azioni di questo tipo».