SPECIE TERRESTRE E PREGIUDIZIO
«Le nostre menti non sono prigioniere dei nostri geni» scrive Wallace Arthur in Life Through Time and Space
(Harvard University Press). Proveniamo tutti da Luca, acronimo del nostro ultimo antenato comune universale (Last Universal Common Ancestor), ma allo stesso tempo siamo tutti unici e irripetibili. Abbiamo tutti l’ombelico e perciò siamo figli nati nello stesso modo, eppure sono le nostre esperienze prenatali, perinatali e infantili, fino a quelle adulte, che ci fanno diventare quello che siamo. Allora non dovrebbe essere difficile accorgersi che siamo unici e molteplici, appartenenti tutti alla stesse specie, eppure diversi per culture ed esperienze vissute. Se sapessimo muoverci tra questa comunanza e queste differenze, svilupperemmo una coscienza di specie unitaria e finalmente potremmo sentirci «terrestri» prima ancora che umani.
Sentirsi terrestri sarebbe urgente poiché i rischi di vivibilità che corre la nostra specie forse si possono affrontare solo se ce la facciamo a sentirci e viverci come parte di tutto il sistema vivente sul pianeta che ci ospita. Eppure non è così che vanno le cose. Siamo persi in ragionamenti e pratiche antagonistiche. Le scritte xenofobe e razziste e i tentativi di attentati contro gli ospiti dell’organizzazione Volontarius ad Appiano sono l’ultimo episodio di una serie che non depone a favore del dialogo tra differenze, e rischia di oscurare un’importante e continuativa tradizione di terra di accoglienza per l’Alto Adige/Südtirol e il Trentino. La difficoltà principale sta nel cercare di riconoscere le ragioni che portano a certe azioni. In generale si chiama in causa il razzismo e i pregiudizi che lo accompagnano, ma a dichiararsi apertamente razzista non c’è nessuno. Anche a proposito del pregiudizio è difficile trovare qualcuno che dichiari esplicitamente di averne. Basta però riflettere su se stessi e parlare con qualcuno per accorgersi che le cose non stanno così. I «se« e i «ma» che vengono messi in campo quando si parla di persone di culture diverse e con diversi colori della pelle, sono sottili e diffusi. Allora è a quell’humus apparentemente innocuo, presente nella vita quotidiana in modo silenzioso, che bisogna badare. Tra silenzio e indifferenza si rischia di scivolare in posizioni che possono finire per offrire un effettivo sostegno, ancorché non intenzionale e tacito, ad azioni di pochi facinorosi xenofobi, neppure loro dichiarati ma praticanti.