Le soglie dell’ombra Franco Rella riflette sul mistero
Editoria Dopo quasi 25 anni Rella pubblica nuovamente il volume Un percorso alla ricerca di noi stessi e dell’altro con cui confrontarsi Il filosofo: «Sono certo che il viaggio di allora non sia ancora terminato»
«Ah l’uomo che se ne va sicuro,/ agli altri ed a se stesso amico,/ e l’ombra sua non cura che la canicola/ stampa sopra uno scalcinato muro». Quanto sia essenziale la parte delle cose che rimane nascosta al nostro sguardo, il segreto della cosa che proprio nell’ombra si delinea, Eugenio Montale lo enuncia già in Non chiederci la parola, la lirica di apertura di Ossi di seppia. Su quell’immagine di uomo che crede di poter prescindere dall’«ombra sua», lo sguardo del poeta si posa con un misto d’ironia e di compassione. Perché, come spiega con efficacia Franco Rella nel suo Le soglie dell’ombra. Riflessioni sul mistero (Mimesis, 2018), «il vicolo cieco del mistero non è un buco nero, l’implosione del senso, la perdita del mondo e del soggetto. È l’affacciarsi di una verità di cui non possiamo tracciare netti contorni, ma di cui non possiamo fare a meno».
A quasi 25 anni di distanza, Rella — firma del Corriere del
Trentino, filosofo e saggista, ha insegnato estetica allo Iuav di Venezia, di lui ricordiamo i recenti Immagini del tempo. Da metropoli a cosmopoli (Bompiani, 2016); Il segreto di Manet (Bompiani, 2017); Forme di esistenza (Jouvence, 2018) — decide di presentare praticamente inalterato Le soglie dell’ombra, uscito nel 1994 per i tipi di Feltrinelli. In proposito, osserva che, pur essendo mutate molte cose, allora aveva «posto radicalmente la questione della necessità di interrogare e poi di nuovo interrogare la realtà, e noi stessi che a questa realtà ci confrontiamo». Un’esigenza che il filosofo avverte oggi viva come un tempo: «Ho la sensazione, o forse la certezza — annota — che il viaggio intrapreso allora non sia ancora terminato. Su quel sentiero allora tracciato».
Professor Rella, partiamo dal titolo Le soglie dell’ombra: che cosa accade in questa zona di profonda incertezza? «Simone Weil afferma che la nostra mente si trova talvolta di fronte a problemi che non sono risolvibili. Compito della filosofia è, appunto, “concepire in modo chiaro i problemi insolubili nella loro insolubilità”, afferma. Si tratta quindi di problemi impenetrabili per il pensiero, e questo noi non possiamo che chiamarlo mistero: il pensiero deve continuamente rapportarsi a tale cono d’ombra, in attesa di riuscire a penetrarlo».
Di quali vie della cultura e del pensiero occidentale si occupa il libro?
«Ho cercato di ripercorrere alcune zone in cui la mente umana si è scontrata con il mistero a partire dal mondo greco, dall’enigma del tragico nel senso che l’eroe tragico è contemporaneamente innocente e colpevole, punibile e non punibile, Antigone, ad esempio, deve rispettare la legge e nello stesso tempo violarla, ci si trova di fronte a contraddizioni che non trovano spiegazione. Ho parlato poi della traversata del buio dei mistici, da Giovanni della Croce a Angela da Foligno, per passare quindi attraverso il mistero stesso dell’esistenza con Leopardi e arrivare a intravvedere in qualche modo il superamento, la trasformazione di questo insolubile in una zona di transitabilità».
Attraverso quali figure?
«Lo vediamo, ad esempio, in Anna Achmatova, che tra il 1935 e il 1940 scrive una serie di poesie, Requiem, che nascono dall’orrore staliniano. A un certo punto, mentre è in coda davanti alle porte del carcere per consegnare un pacchetto, la donna dietro di lei chiede: “Ma lei può descrivere questo?” “Posso”, risponde Achmatova, e ciò fa nascere un sorriso sul volto dell’altra donna. L’idea che anche l’orrore possa essere detto rappresenta in qualche modo una sorta di riscatto. Una testimonianza ancora più forte è quello di Liana Millu che all’ombra dei forni crematori guardava al di là della loro soglia, verso le montagne all’orizzonte. Casi, dunque, in cui di fronte al “cuore di tenebra”, il pensiero è arrivato anche a scorgere delle soluzioni».
Lei osserva che l’arte ha il potere di svegliarci dal narcotico farmacista Homais di Madame Bovary.
« In proposito cito spesso
Della redenzione di Nietzsche quando afferma: “Io cammino tra gli uomini come in mezzo a un ammasso di frammenti: E come potrei tollerare d’essere uomo, se l’uomo non dovesse essere anche poeta?”, se non sadi pesse cioè dare a tutto questo una forma e rendere conoscibile anche il male, il dolore. L’arte ha questa possibilità di dare forma a quello che sfugge alla concettualizzazione scientifica e filosofica, si spinge dunque in una direzione assolutamente nemica del farmacista Homais».
Insieme ad ombra e mistero, un altro concetto che ricorre spesso nei suoi libri è quello, caro a Michail Bachtin, di soglia. Che cosa accade sulla soglia?
«La soglia non è semplicemente un confine: ci permette di guardare il molteplice, di qua e di là, dentro e fuori, dietro e in avanti. Se il concetto di soglia entrasse nella dinamica del pensiero potremmo avere anche un diverso rapporto con quello che noi definiamo “l’altro”. Noi e l’altro diventerebbero due dimensioni che vengono a incontrarsi proprio sulla soglia, una linea dunque non che separa ma che unisce il diverso».
Nel saggio dedica un capitolo a Maria Zambrano, qual è il suo pensiero sulle donne filosofe?
«Ci sono pochi filosofi che possono stare alla loro altezza nel Novecento: quello di Hannah Arendt non è un pensiero femminista o femminile, lei è una filosofa della politica, si occupa della grande tradizione che da Aristotele raggiunge i nostri giorni. Simone Weil si caratterizza per l’acutezza di pensiero, nessuno nel Novecento ha raggiunto i vertici come questa donna, morta a trentaquattro anni. Per quanto riguarda Zambrano, ha messo in luce il rapporto profondo che esiste tra la soggettività e il pensiero anche più oggettivo, nel senso che il pensiero nasce poeticamente, spiega nel libro Filosofia e poesia e poi diventa filosofico ma il grande pensiero filosofico incorpora la tensione poetica».
Il saggista Ho ripercorso alcune zone in cui la mente si è scontrata con il mistero come nel mondo greco