«Feto nel depuratore, aborto indotto»
Comunicato della Procura. Disposte analisi sul Dna. «Degrado culturale»
TRENTO Si ipotizza un’interruzione di gravidanza verosimilmente indotta». In sostanza l’aborto è stato voluto e procurato. Queste le deduzioni della Procura di Bolzano riportate nel conciso comunicato diramato ieri agli organi di stampa. Un documento di poche righe, scritto nel consueto asettico lessico giuridico, in cui è concentrato il dramma di una vita di cui non è ancora dato conoscere nulla: quella di una donna che, al quinto mese di gravidanza, ha deciso — o è stata costretta a decidere — di rinunciare al figlio che portava in grembo. Una bimba, visto che la nota del procuratore capo Giancarlo Bramante specifica che «il feto rinvenuto presso il depuratore di Termeno» giovedì scorso «è di circa 20 settimane, di sesso femminile, e nn riporta lesioni esterne tali da determinare un aborto spontaneo». Non un malore della madre o una malattia fetale, dunque, ma un esito tragico quanto intenzionale da imputare forse all’assunzione di farmaci che hanno portato al decesso della bambina. A stabilire con precisione quali siano state le cause che abbiano condotto all’interruzione di gravidanza saranno «le indagini sul Dna prelevato e le analisi tossicologiche di cui si attende esito prosegue l’asciutto documento della magistratura inquirente —. Il feto rimane sequestrato e conservato in cella frigo». Parole gelide che pesano come macigni e aprono spiragli inquietanti sulle dietrologie e le ipotesi infinite che possano raccontare la storia umana e il fardello psicologico che possono aver condotto una quasi-madre a un gesto tanto atroce. Rinunciare alla vita che custodiva in grembo, procurarne volontariamente la fine e liberarsi di quel corpicino di cinque mesi, già formato, affidandolo alle acque cittadine attraverso un tombino o una «bocca di lupo» attraverso cui la piccola è poi giunta al depuratore di Termeno dove è stata rinvenuta.
«La procura della Repubblica ha delegato le indagini per l’identificazione della madre alla polizia giudiziaria e al nucleo anti sofisticazione dei carabinieri di Trento», conclude la nota. In attesa di individuare la donna, «si indaga a carico di ignoti per il delitto di interruzione di gravidanza». Un caso aperto, tanto per la giustizia quanto per la protagonista di questa triste vicenda su cui pende ancora il velo dell’anonimato. Una ragazza minorenne che voleva tenere nascosta la gravidanza? Una straniera senza assistenza sanitaria o non debitamente informata sul diritto di partorire senza riconoscere il figlio? Oppure una donna che ha avuto difficoltà ad accedere all’aborto per via legale. «Di certo — spiega la ginecologa Cristina Zanella — questa storia parla di un profondo degrado non solo morale, ma anche culturale». La dottoressa non focalizza l’attenzione sulla decisione di rinunciare ad avere un figlio: «Sono tante le donne che decidono di abortire ogni anno nella nostra provincia», spiega. A far parlare la dottoressa Zanella di «una cosa aberrante, spaventosa, sconvolgente» è, appunto, sapere che «l’omicidio, perché dopo il terzo mese di gestazione di omicidio si tratta» sia avvenuto «al di fuori di un circuito protetto, di un ospedale, in solitudine, forse a casa ma di certo aiutata da qualcuno. Impossibile che questa donna abbia fatto tutto da sola. Non so cosa abbia spinto questa donna a rinunciare al bimbo, ma è una cosa da film dell’orrore prendere un feto e buttarlo nel tombino».