«Razzismo, Paese avvelenato i cittadini devono mobilitarsi»
Galantino (Cei): prendiamoci il tempo per leggere le storie dei migranti
«Due i rimedi per combattere il razzismo: la conoscenza e la mobilitazione dei cittadini». Parole di Nunzio Galantino, segretario generale Cei, ieri a Rovereto alla «Camminata della fraternità». Galantino vede l’Italia «come un grande stadio dove si adottano atteggiamenti da curva».
TRENTO «Il razzismo o più in generale l’odio verso il diverso? Comincia laddove smettiamo di prenderci il tempo per leggere le storie di chi ci circonda» un concetto questo che monsignor Nunzio Galantino — nominato a fine giugno presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica — ha ribadito più volte ieri in occasione della «Camminata della fraternità», organizzata a Rovereto dal Comitato pastorale della Vallagarina con partenza dalla Chiesa di San Marco e arrivo alla Campana della pace per riaffermare la bellezza della diversità.
Monsignor Galantino, in questi giorni i notiziari ci restituiscono l’immagine di un Paese diviso, dove c’è poco di cui andare fieri…
«Io direi piuttosto l’immagine di un Paese trasformato in un grande stadio, dove anziché analizzare gli avvenimenti con calma e razionalità, si adottano atteggiamenti da curva e la verità dei fatti è quasi sempre costretta a cedere il posto al «partito preso».
Crede che le recenti aggressioni a persone di colore siano legate allo schema che ha appena descritto?
«Sì. Oggi essere immigrati è stigmatizzante, a prescindere. Si preferisce condannare la condizione di straniero piuttosto che l’effettivo comportamento della persona. Incardinare in schemi preconfezionati è veloce e costa meno fatica rispetto ad un sincero confronto con l’altro».
Ma qual è l’antidoto per combattere la retorica a buon mercato?
«La conoscenza. E la piazza. Quando la politica è avvelenata tocca ai cittadini, alle comunità, manifestare pacificamente il proprio dissenso, mostrare una nuova via da seguire. Penso che iniziative come quella di oggi, in cui persone di tutte le età e di diverse etnie camminano insieme fianco a fianco siano la miglior risposta alla paura e all’indifferenza e anche la più alta forma di politica».
Quando il ministero dell’Interno ha annunciato di voler di chiudere i porti ai migranti, la Conferenza episcopale italiana ha risposto citando il passo del Vangelo di Matteo che recita «Ero forestiero e mi avete accolto». Ma come si conciliano cattolicesimo e politica nazionalistica?
«La fede è un fatto privato, si propone ma non si impone. Detto questo, preferisco lasciar parlare il vostro conterraneo Antonio Rosmini, che invitava a distinguere la fede evangelica da quella partitica e a fare una riflessione interiore per capire quale fosse la più importante. Ecco, io credo che un cristiano, semplice cittadino o parlamentare, in cuor suo, abbia sempre ben chiaro quale atteggiamento il Vangelo raccomanda di tenere di fronte a fenomeni come quello migratorio».
E quale atteggiamento dovrebbe invece adottare un buon giornalista?
«Penso che la televisione e la carta stampata abbiano una grande responsabilità. Chi lavora nell’ambito della comunicazione con le proprie azioni contribuisce ogni giorno ad alimentare o a smontare la «fabbrica di etichette». La vera sfida è quella di scavare oltre gli stereotipi e dare, per esempio, risalto all’analisi delle ragioni che hanno portato al verificarsi di un certo fenomeno o al far sì che un immigrato si comportasse in un determinato modo piuttosto che in un altro».