L’autonomia e i mercanti di parole
In queste giornate che stanno umiliando l’autonomia trentina in vista delle prossime elezioni, all’interno di uno scenario politico desolante, risuonano parole che fino a pochi anni fa hanno avuto un certo peso. Autonomia, innovazione, solidarietà: concetti oggi troppo spesso abusati, piegati a un volere che non è più rivolto alla comunità ma a una precaria sopravvivenza personale. Il noi è stato sostituito dall’io, gli interessi di pochi hanno preso il sopravvento rispetto al sentire di chi vive ogni giorno una quotidianità sempre più incerta e che chiede alla politica un’idea di viaggio, un approdo sicuro. Fiato sprecato, perché oggi la buona politica latita. Assistiamo, quindi, alle palesi difficoltà in cui si dibatte il centrosinistra autonomista costretto a doversi occupare delle conseguenze dovute all’evaporazione dell’Upt, dell’eterne divisioni del Pd nazionale e dei suoi riflessi locali, di un Patt che tanti voti ha lasciato alla Lega nelle valli, anziché guardare a un progetto di rilancio del Trentino. Non sta molto meglio il centrodestra, dove la Lega ha forzato la mano su Maurizio Fugatti come candidato presidente, mettendo così in crisi l’alleanza con Forza Italia e Fratelli d’Italia e accompagnando di fatto alla porta Geremia Gios. Il quale Gios vagheggia, adesso, un polo con Valduga. Già, Valduga. All’orizzonte si scorge la nascita di un’aggregazione dei sindaci che rincorrendo con nuova modernità il sogno antico di Leoluca Orlando e Lorenzo Dellai della Rete di oltre 25 anni fa, immagina di costruire una leadership attorno alla figura del figlio di un vecchio leader democristiano. Ciò che sorprende però è che su alcuni dei temi oggi in discussione non ci sia mai una chiara posizione. Solo schemi di possibili alleanze o aperture per collocarsi in una giunta di coalizione da soccorrere dopo il 21 ottobre. Francamente, troppo poco. Siamo in un sistema maggioritario e presidenzialista che permette ambizioni unicamente se sostenute da numeri che solo le urne possono fissare. Proprio per questo non è possibile rimanere in mezzo al guado, prendere tempo. Bisogna mettere fuori la testa e dare risposta ad alcune urgenti domande: l’autonomia del Trentino come si rapporterà con le altre autonomie? L’illusione dell’Euregio, infranta prima sui migranti e sul passaggio dei Tir e adesso probabilmente anche sul doppio passaporto per chi abita in Provincia di Bolzano, quanto è costata? C’è qualcuno che ancora la rivendica? I punti nascita che prima l’Upt voleva eliminare, schierandosi con Borgonovo Re e Zeni, sembrano essere tornati invece fondamentali (l’aria elettorale a volte gioca brutti scherzi): ma servono o meno? La ricerca con la sua organizzazione è strategica per il Trentino? Il nuovo ospedale di Trento, immaginato nel 2001 e forse in arrivo nel 2031, a che sistema sanitario sarà funzionale? Le partecipate, oltre a offrire prebende, serviranno anche a modellare tariffe competitive evitando disparità con altre regioni? La riforma delle Comunità è da tenere o da buttare? Non sarebbe forse meglio puntare su dei comprensori coincidenti con i quattro collegi politici in cui è suddiviso il Trentino? Questi interrogativi dovrebbero animare il dibattito politico. Invece tutto tace. La conservazione che ci parla di innovazione e gli egoismi localistici che parlano di solidarietà ci suggeriscono solo schemi di collocazione possibile nel Consiglio prossimo venturo, ma non si confrontano sulla sostanza. Poi ci si lamenta dei toni e dei modi in cui il rifiuto e l’insofferenza irrompono nello scenario locale, mentre alla mente ritorna insistente l’immagine di un «Cristo furioso» che con brusca severità e una certa violenza caccia i mercanti dal tempio. Dove il tempio della democrazia — l’Assemblea legislativa — è assediato e insidiato dai mercanti di parole, magari abusate in danno a chi crede nel valore del loro significato.