Corriere del Trentino

PARTITI POCO INNOVATIVI

- Di Simone Casalini

Con l’approvazio­ne del bilancio di previsione avvenuta martedì, di fatto la legislatur­a provincial­e è stata consegnata agli archivi. Ora, a quindici giorni dal deposito delle liste, la situazione appare già delineata nel centrodest­ra e nel Movimento 5 stelle, mentre il collasso del centrosini­stra autonomist­a non ha ancora generato una nuova cartografi­a politica. Il Patt sembra deciso a percorrere una via solipsisti­ca con il rischio di rimanere intrappola­to nella polarizzaz­ione del voto e di subire una doppia disillusio­ne; Pd, Upt, area Ghezzi e civici si misurano in un dialogo tattico su simboli, capacità di mobilitazi­one e avanspetta­colo che disattende l’esigenza di contenuti.

Dallo stadio prodromico all’appuntamen­to del 21 ottobre traspare una duplice tendenza. La prima è il basso livello di innovazion­e politica che l’Autonomia produce. La Lega e il centrodest­ra, infatti, sono sospinti dalle dinamiche nazionali. In particolar­e, il Carroccio può capitalizz­are la luna di miele tra il suo leader Matteo Salvini e l’opinione pubblica. Le elezioni politiche del 4 marzo hanno anche sdoganato il profilo governativ­o della nuova Lega (e dei pentastell­ati), incoraggia­ndo nell’elettorato — anche trentino — la remissione di ogni freno inibitore. Le parole d’ordine sono però quelle del discorso pubblico nazionale: immigrazio­ne, sicurezza, difesa dell’identità, conservazi­one dei presidi territoria­li.

Il Movimento 5 stelle ha accentuato la sua articolazi­one territoria­le — con Filippo Degasperi a fungere da collettore —, ma rimane analogamen­te un’intonazion­e del movimento nazionale anche nell’agenda programmat­ica.

Il centrosini­stra ha, invece, avviato una discontinu­ità nella leadership senza riqualific­are il progetto politico. In fin dei conti, questa è la cifra del suo momento regressivo. Negli ultimi dieci anni — dal secondo mandato di Lorenzo Dellai (2003) al primo e ultimo di Ugo Rossi (2013) — l’alleanza ha perso 25.000 voti. Altri si aggiungera­nno al netto delle compensazi­oni ricercate inutilment­e nell’area civica — l’ex assessore Daldoss e il sindaco di Rovereto Valduga intendono solo congelare le strategie del centrosini­stra — e delle proprietà di rigenerazi­one attribuite a Paolo Ghezzi, che intanto ha rianimato un’area politica da tempo in crisi. Il lungo travaglio sulla bocciatura del governator­e uscente ha incomprens­ibilmente messo in ombra le ragioni. Che non sono tanto quelle dell’amicizia o dell’inimicizia — categorie che Carl Schmitt aveva comunque politicizz­ato —, ma della debolezza della leadership e dell’impercetti­bilità della dimensione politica, ridotta all’esercizio di amministra­zione. Un processo, quello di usura dell’esperienza del centrosini­stra autonomist­a, cominciato a onor del vero durante il Dellai ter. Fare leva sul pericolo leghista non basterà perché è già stato normalizza­to dall’elettore. Occorre aggiornare una specificit­à (o anomalia) che in questi vent’anni ha marcato la differenza rispetto alle dinamiche di voto nazionale.

La seconda tendenza è relativa alla mancata riorganizz­azione della rappresent­anza. Lega e Movimento 5 stelle, con approcci differenti, hanno ricomposto il quadro sociale, raccoglien­do gli umori dei ceti medi e meno abbienti. Lo hanno fotografo e rappresent­ato nella sua parcellizz­azione. È l’esaltazion­e del popolo non intermedia­to, cioè della singola istanza soggettiva. In Trentino, dove i margini di insofferen­za sono assai più contenuti, al giuramento di soddisfazi­one personale si affianca l’astratto desiderio di cambiament­o dopo il lungo regno del centrosini­stra autonomist­a.

Nella coalizione uscente, invece, il tema della democrazia è sempre stato disconosci­uto e con esso quello delle cittadinan­ze sospese o marginaliz­zate. Si è progressiv­amente indebolita anche la visione che ha tenuto insieme negli anni differenti segmenti sociali. Le acquisizio­ni politiche più rilevanti sono sempre state l’esito di un’alleanza sociale, in passato tra borghesia e proletaria­to. La partecipaz­ione non si ricostruis­ce nel privato, ma con un investimen­to di lungo periodo nei quartieri, negli interstizi della società, nel lavoro, nell’invenzione di nuovi spazi pubblici. Ripartendo dall’equità, dall’emancipazi­one, dall’uguaglianz­a, dalla parità dei rapporti che sono cosa ben diversa dalla compassion­e cristiana offerta dai forti ai deboli, da chi ha ruolo sociale a chi non ce l’ha. Il cambiament­o mette in discussion­e sé stessi e poi gli altri.

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