PARTITI POCO INNOVATIVI
Con l’approvazione del bilancio di previsione avvenuta martedì, di fatto la legislatura provinciale è stata consegnata agli archivi. Ora, a quindici giorni dal deposito delle liste, la situazione appare già delineata nel centrodestra e nel Movimento 5 stelle, mentre il collasso del centrosinistra autonomista non ha ancora generato una nuova cartografia politica. Il Patt sembra deciso a percorrere una via solipsistica con il rischio di rimanere intrappolato nella polarizzazione del voto e di subire una doppia disillusione; Pd, Upt, area Ghezzi e civici si misurano in un dialogo tattico su simboli, capacità di mobilitazione e avanspettacolo che disattende l’esigenza di contenuti.
Dallo stadio prodromico all’appuntamento del 21 ottobre traspare una duplice tendenza. La prima è il basso livello di innovazione politica che l’Autonomia produce. La Lega e il centrodestra, infatti, sono sospinti dalle dinamiche nazionali. In particolare, il Carroccio può capitalizzare la luna di miele tra il suo leader Matteo Salvini e l’opinione pubblica. Le elezioni politiche del 4 marzo hanno anche sdoganato il profilo governativo della nuova Lega (e dei pentastellati), incoraggiando nell’elettorato — anche trentino — la remissione di ogni freno inibitore. Le parole d’ordine sono però quelle del discorso pubblico nazionale: immigrazione, sicurezza, difesa dell’identità, conservazione dei presidi territoriali.
Il Movimento 5 stelle ha accentuato la sua articolazione territoriale — con Filippo Degasperi a fungere da collettore —, ma rimane analogamente un’intonazione del movimento nazionale anche nell’agenda programmatica.
Il centrosinistra ha, invece, avviato una discontinuità nella leadership senza riqualificare il progetto politico. In fin dei conti, questa è la cifra del suo momento regressivo. Negli ultimi dieci anni — dal secondo mandato di Lorenzo Dellai (2003) al primo e ultimo di Ugo Rossi (2013) — l’alleanza ha perso 25.000 voti. Altri si aggiungeranno al netto delle compensazioni ricercate inutilmente nell’area civica — l’ex assessore Daldoss e il sindaco di Rovereto Valduga intendono solo congelare le strategie del centrosinistra — e delle proprietà di rigenerazione attribuite a Paolo Ghezzi, che intanto ha rianimato un’area politica da tempo in crisi. Il lungo travaglio sulla bocciatura del governatore uscente ha incomprensibilmente messo in ombra le ragioni. Che non sono tanto quelle dell’amicizia o dell’inimicizia — categorie che Carl Schmitt aveva comunque politicizzato —, ma della debolezza della leadership e dell’impercettibilità della dimensione politica, ridotta all’esercizio di amministrazione. Un processo, quello di usura dell’esperienza del centrosinistra autonomista, cominciato a onor del vero durante il Dellai ter. Fare leva sul pericolo leghista non basterà perché è già stato normalizzato dall’elettore. Occorre aggiornare una specificità (o anomalia) che in questi vent’anni ha marcato la differenza rispetto alle dinamiche di voto nazionale.
La seconda tendenza è relativa alla mancata riorganizzazione della rappresentanza. Lega e Movimento 5 stelle, con approcci differenti, hanno ricomposto il quadro sociale, raccogliendo gli umori dei ceti medi e meno abbienti. Lo hanno fotografo e rappresentato nella sua parcellizzazione. È l’esaltazione del popolo non intermediato, cioè della singola istanza soggettiva. In Trentino, dove i margini di insofferenza sono assai più contenuti, al giuramento di soddisfazione personale si affianca l’astratto desiderio di cambiamento dopo il lungo regno del centrosinistra autonomista.
Nella coalizione uscente, invece, il tema della democrazia è sempre stato disconosciuto e con esso quello delle cittadinanze sospese o marginalizzate. Si è progressivamente indebolita anche la visione che ha tenuto insieme negli anni differenti segmenti sociali. Le acquisizioni politiche più rilevanti sono sempre state l’esito di un’alleanza sociale, in passato tra borghesia e proletariato. La partecipazione non si ricostruisce nel privato, ma con un investimento di lungo periodo nei quartieri, negli interstizi della società, nel lavoro, nell’invenzione di nuovi spazi pubblici. Ripartendo dall’equità, dall’emancipazione, dall’uguaglianza, dalla parità dei rapporti che sono cosa ben diversa dalla compassione cristiana offerta dai forti ai deboli, da chi ha ruolo sociale a chi non ce l’ha. Il cambiamento mette in discussione sé stessi e poi gli altri.