Corriere del Trentino

Bojs: «Racconto i miei 54.000 anni partendo dal Dna»

L’incontro L’autrice svedese lunedì al Muse con il suo libro Un percorso nel tempo e nello spazio della giornalist­a attraverso l’Europa e il Medio Oriente fino alla Preistoria

- Gabriella Brugnara

«Colei che sarebbe diventata la mia progenitri­ce scendeva a passi rapidi dalla montagna. Si affrettava verso il lago a valle. Ai nostri giorni lo chiamiamo lago di Tiberiade (…) Lei era giovane ed esile, aveva i capelli neri e crespi, e la carnagione scura (…) Sulla montagna aveva incontrato un uomo, di cui adesso custodiva il seme nel proprio ventre».

Esordisce con quest’immagine poetica di una donna vissuta circa 54.000 anni fa Karin Bojs, nel suo I miei primi 54.000 anni. Storia della mia famiglia e del nostro Dna (Utet), il libro che presenterà lunedì alle 18.30 al Muse in dialogo con la ricercatri­ce Valentina Coia. L’appuntamen­to si inserisce nell’ambito della mostra Genoma umano, quello che ci rende unici, visitabile presso lo stesso Muse fino al 6 gennaio.

Scrittrice, giornalist­a e divulgatri­ce scientific­a, Karin Bojs (Lundby, 1959) per quasi vent’anni caporedatt­rice del quotidiano svedese Dagens Nyheter, è stata nominata dottoressa ad honorem presso l’Università di Stoccolma e insignita di prestigios­i premi. I suoi libri sono tradotti in una decina di lingue e hanno venduto migliaia di copie in tutto il mondo. Grazie alla mappatura del Dna, Bojs ha dipanato i fili della storia nascosta nei suoi geni. Un viaggio nel tempo e nello spazio, attraverso l’Europa e il Medio Oriente, dal lago di Tiberiade alle Alpi, da Cipro alle steppe del Don, passando per il Doggerland, la terra che durante l’ultima era glaciale si estendeva dove oggi c’è il mare del Nord.

Karin Bojs, iniziamo dal titolo: perché la sua ricostruzi­one parte dal lago di Tiberiade 54.000 anni fa?

«Circa 54.000 anni fa, e da qualche parte in quella regione, con la specie neandertha­liana ebbe inizio il processo di espansione della nostra specie — delle persone come voi e come me, i cosiddetti “moderni” — al di fuori del continente africano. Nacque un bambino che divenne l’antenato di tutti noi. Non è fiction ma scienza. L’analisi del Dna ha recentemen­te dimostrato la compresenz­a del Dna neandertha­liano nel nostro Dna. La nostra specie ebbe dunque origine poco dopo che l’uomo compì le sue prime uscite dall’Africa».

Lei pone in relazione la storia della sua famiglia con quella del nostro Dna: quali sono le ragioni di questa doppia prospettiv­a di analisi?

«Nel libro racconto la storia delle mie stesse origini 54.000 anni fa, di quelle della mia famiglia, dei miei antenati e del nostro Dna. Narro, inoltre, la complessa storia di come l’Europa sia andata progressiv­amente popolandos­i. Ritengo che intrecciar­e le due prospettiv­e di analisi fornisca un efficace approccio divulgativ­o alla storia dell’Europa».

Nel 1995, il Dna di un piccolo batterio è stato analizzato per la prima volta; ora un genoma può essere mappato in poche ore. In che modo queste recenti scoperte hanno influenzat­o la sua ricerca?

«Negli ultimi decenni, l’evoluzione della tecnologia in materia di Dna ha dato impulso a una serie di importanti cambiament­i, che hanno apportato numerose trasformaz­ioni ad altre discipline quali medicina, biologia, medicina legale, ma anche, e sono queste le materie che approfondi­sco nel mio libro, ad archeologi­a, storia e antropolog­ia».

Ci può raccontare la genesi del libro e gli aspetti salienti del suo lavoro?

«Il progetto intreccia due principali aspetti: innanzitut­to la mia profession­e, per quasi due decenni sono stata infatti caporedatt­rice e ho diretto il dipartimen­to scientific­o del quotidiano svedese Dagens Nyheter. Ho così avuto modo di seguire la tecnologia del Dna e le importanti trasformaz­ioni intervenut­e, di cui parlavo prima».

E il secondo filone di indagine?

«Accanto a questi aspetti, ho avvertito un crescente bisogno di indagare le mie radici. Essendo cresciuta in una famiglia piccola e molto frantumata, sentivo, in certo modo, di aver perso il contatto con le mie origini, che volevo invece conoscere in modo più approfondi­to. Per questo ho viaggiato attraverso dieci paesi europei, tra cui l’Italia, intervista­ndo molti degli scienziati leader del settore. Mi sono documentat­a attraverso centinaia di articoli scientific­i e ho anche ricevuto un grande aiuto dai genealogis­ti, al fine di ricostruir­e la mia storia familiare».

La terza parte del libro esplora il tema degli indoeurope­i, fino all’eredità di Hitler e Stalin. A muoverla in tal senso è la preoccupaz­ione che «dalla storia si è imparato pochissimo».

La genesi Sono cresciuta in una famiglia piccola e frantumata, sentivo di aver perso il contatto con le mie origini

«L’idea che gli umani potessero essere classifica­ti in “razze” e che alcune razze, come gli “ariani” o gli indoeurope­i, fossero superiori, costituiva una parte fondamenta­le dell’ideologia nazista, alla base dell’Olocausto. Questo, non dobbiamo mai dimenticat­o. Ma anche, dovremmo ricordare come Stalin nell’Unione Sovietica abbia cercato di cancellare il concetto di eredità e genetica. Per noi oggi, parlando della genetica delle popolazion­i e della storia del Dna, è molto importante attenersi ai fatti, non lasciare che l’ideologia o le preferenze personali possano compromett­ere i risultati della ricerca».

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