Cimici in casa e la vendetta di una moglie
L’inchiesta partita dalla denuncia di una ex «spiata»
TRENTO La «condotta corrotta» di appartenenti alle forze dell’ordine ha consentito a Delmarco di «avere la più ampia disponibilità del bagaglio investigativo di informazioni riservate, velocità di acquisizione delle informazioni e garanzia di attendibilità delle stesse».
Non lasciano ampi spazi interpretativi le parole del gip Marco La Ganga che, nell’ordinanza, traccia il quadro accusatorio a carico dei nove indagati e i «gravi indizi di colpevolezza» che hanno portato all’arresto. Il giudice parla di un «quadro di complessiva e grave illeceità a carico dei pubblici ufficiali» e parla di «pagamenti abituali». Secondo quanto ricostruito nell’atto d’accusa di fatto i due carabinieri, la coppia di poliziotti e il finanziere erano sostanzialmente sul libro paga dell’investigatore privato bolzanino.
In particolare gli inquirenti evidenziano «conversazioni significative» sul militare della guardia di finanza, Cristiam Tessadri e sulla necessità di «foraggiare» il pubblico ufficiale per il lavoro prestato. I pagamenti, secondo quanto ricostruito avvenivano spesso durante incontri presso bar bolzanini nei quali avveniva lo scambio e la consegna del denaro.
A «incastrare» il carabiniere Carmelo Caronte ci sarebbero invece ricariche su due postepay. C’è una chat WatsApp che mette nei guai invece la coppia di poliziotti nella quale si evince che l’ex agente aveva ricevuto diverse «migliaia di euro in nero» per alcune informazioni fornite a un cliente dell’agenzia investigativa e avrebbe chiesto 150 euro per la verifica delle pendenze penali di un’altra cliente. Ma c’è di più: nel sistema illecito di scambio di informazioni sembra facesse parte anche la moglie di Delmarco e una sua collaboratrice che a quanto pare era «pienamente coinvolta — scrive il giudice — nella gestione degli affari dell’agenzia».
Nell’atto d’accusa vengono ricostruite, punto per punto, tutte le contestazioni mosse ai nove arrestati e le dazioni di denaro. Un sistema che, secondo l’accusa, sarebbe andato avanti dal 2016 al 2017. A dare il la all’indagine era stata la moglie di un poliziotto della val di Fiemme che aveva scoperto di essere «spiata» dal marito. La donna, in fase di separazione, aveva capito che l’ex coniuge aveva delle informazioni inerenti alla sua vita strettamente privata che non poteva possedere. Da qui erano sorti i primi dubbi, poi la donna ha scoperto una microcamera, una cimice, che era stata installata nella sua casa. Siamo nel 2016 quando la donna si rivolge ai militari e presenta formale denuncia. Da qui sono partite le indagini dei carabinieri che hanno svelato il presunto sistema illegale architettato dal Delmarco.
Nell’ordinanza il giudice ricostruisce la presunta attività illecita dell’investigatore. E così spuntano accordi e pagamenti, come il 27 ottobre 2016 quando avrebbe promesso e poi versato 200 euro all’appuntato Carone affinché «gli svelasse la patologia del certificato di malattia di una signora».
L’otto aprile 2017, invece, avrebbe chiesto al finanziere Tessadri di accertare se una società fosse sana e in attivo. Accertamento che è stato poi effettivamente svolto. Poi ecco spuntare la verifica, il 18 aprile 2017, sulla famiglia e il reddito di un signore, svolto attraverso la banca dati Inps. Ma c’è di più in un caso Delmarco insieme ad un collaboratore si sarebbero procurati di registrazioni relative a conversazioni sulla vita privata di alcune persone in abitazioni e scuole, anche su minorenni. Un comportamento che è costata loro anche l’accusa di interferenze illecite nella vita privata.
Sono solo alcuni esempi che secondo gli inquirenti disegnano il modus operandi che caratterizzava il lavoro dell’investigatore privato. Per mesi i carabinieri del nucleo investigativo hanno analizzato conversazioni, dati, notizie carpite dai «cervelloni» delle forze dell’ordine in modo illegale. Un lavoro puntuale e certosino di ricostruzione a ritroso nel tempo anche degli incontri e dei pagamenti. «È stata un’indagine delicata — ha commentato il comandante del nucleo investigativo, il capitano Andrea Oxilia — perché dovremmo tutti essere dalla stessa parte».
Il gip «L’investigatore aveva la più ampia disponibilità di notizie secretate»