Doppia preferenza di genere favoriti i «ras» dei territori Le donne elette saranno poche
Corsa alla bicicletta con una candidata. Il centrodestra medita il ritorno al passato
TRENTO La doppia preferenza di genere non concorrerà a determinare il vincitore delle prossime elezioni provinciali, ma sta determinando una piccola rivoluzione nella campagna elettorale. Non una rivoluzione rosa, non per ora almeno. Le novità interessano i posizionamenti dei candidati e, in prospettiva, ne determineranno le chance di elezione: calerà il numero delle preferenze necessarie per essere eletti, crescerà il numero delle preferenze secche, i candidati forti su un singolo territorio saranno favoriti, ognuno tenderà a muoversi individualmente e il rischio che alle donne sia riservato un ruolo ancillare non viene meno.
Della nuova legge elettorale si sta parlando poco. Nel centrodestra si preferisce non annunciarlo, ma già si ragiona di cancellare in caso di vittoria la doppia preferenza di genere nei primi mesi della prossima legislatura. In estrema sintesi, la doppia preferenza di genere ha ridotto da tre a due le preferenze possibili sulla scheda elettorale stabilendo che, qualora l’elettore ne voglia esprimere più di una, la seconda dovrà essere di genere diverso.
Il primo effetto della norma è quello di cancellare le «biciclette» tra uomini. Sia quelle su un medesimo territorio — Mauro Gilmozzi e Pietro De Godenz non potrebbero più essere eletti insieme in val di Fiemme — sia quelle, assai più diffuse, tra un candidato forte di livello provinciale e tanti candidati minori forti in un singolo territorio. Di conseguenza, da questa legge verranno penalizzati rispetto al passato i candidati «di sintesi», quelli che non contano su un singolo feudo, ma sulla somma dei consensi dei vari territori. Questa volta, la logica prevalente sarà quella dell’ ognun per sé: chi ambisce ad essere eletto, non indicherà più due o tre nomi ai suoi sostenitori, ma solo il proprio. In altre parole, rispetto a prima, la campagna elettorale avrà una caratterizzazione più individualista. Le cordate spariranno. In compenso è ragionevole prevedere che il prossimo consiglio sarà composto per lo più da «ras» forti nel proprio territorio, o in una determinata categoria economico-professionale. Sempre rispetto al passato, le elezioni avranno un ruolo minore in termini di sintesi delle singole istanze: ogni luogo, geografico o economico, avrà i suoi campioni.
Per essere eletti dovrebbero bastare un 30 per cento circa di preferenze in meno. Se, come si stima in questi giorni, il quoziente per eleggere un consigliere sarà di circa 7.500 voti per la coalizione vincente e di 9.500 per quelle perdenti, anche nei partiti più grandi 2.200 preferenze dovrebbero bastare per l’elezione.
E le donne? In un ambiente, la politica italiana, ancora marcatamente maschilista, non è detto che la legge sortisca gli effetti sperati. Anzi, potrebbe perfino prestarsi a qualche distorsione. Il primo — inevitabile — handicap che la norma presenta è che, come impedisce quelle maschili, impedisce anche le «biciclette» femminili. Il partito che ha eletto più donne nel 2013 (4 su 9), il Pd (anche se il M5s elesse un uomo e una donna), vide una forte collaborazione tra diverse candidate. Lucia Maestri e Violetta Plotegher su Trento, ad esempio. Uno schema non replicabile. Le donne non potranno aiutarsi tra loro. Al pari dei colleghi maschi, ognuna avrà nell’altra una concorrente. Nel 2013, il Pd portò in consiglio 4 delle 6 donne presenti (Borgonovo Re, Maestri, Ferrari, Plotegher, Ferrari oltre a Bottamedi con il M5s, poi Patt, ora Fi e Avanzo, del Patt). Al netto del probabile calo del Pd, le prossime elette dem potrebbero essere percentualmente meno.
Ciò che la legge ancora consente è la bicicletta tra generi diversi e, in questi giorni, la gran parte dei candidati uomini con possibilità di elezione è alla ricerca di un congruo numero di donne che possano fargli da portatrici d’acqua nei vari territori. Non si hanno notizie del contrario.
Tolto il Pd ed eventualmente il M5s, non sono molti gli altri partiti che, a un mese dal voto, lasciano prevedere l’elezione di molte donne. L’eccezione potrebbe essere la Lega, con ogni probabilità il futuro primo partito del Trentino, ma il Carroccio ha messo in lista le parlamentari perché un po’ in difficoltà sul fronte femminile. Queste, se elette, resteranno comunque a Roma. Le altre numerose liste del centrodestra sono per lo più tese all’elezione del solo «capolista». L’Upt, se riuscirà aa avere due eletti, difficilmente saranno donne. Discorso analogo per il Patt dove, nonostante le smentite, Michele Dallapiccola ha ingaggiato un braccio di ferro per impedire a Franco Panizza di candidarsi, essendo il secondo posto dopo Ugo Rossi l’unico giudicato certo. Anche Futura 2018 non sembra nelle condizioni di eleggere molte donne: la neonata formazione di centrosinistra vede in Paolo Ghezzi e Remo Andreolli le figure con più possibilità di elezione.
La norma potrebbe risultare più efficace tra cinque anni, quando le segreterie dovrebbero aver metabolizzato la necessità di far crescere figure femminili. Tuttavia, ci sono buone probabilità che il centrodestra, in caso di una sua oggi probabile vittoria, cancelli la norma.