Il convegno a Merano sul poeta morto a Venezia nel 1972. La figlia: «L’appropriazione del nome? Lui non aveva casa, basta etichette E sulla convivenza in Alto Adige, dico: ora chiedete ai giovani»
il poeta intrattenne con lei e con l’Alto Adige in un libroconversazione con Alessandro Rivali, Ho cercato di scrivere Paradiso (Mondadori). E in questi ultimi anni, disturbata dalle violenze compiute anche in Sudtirolo da esponenti del movimento che porta il nome di suo padre, Casapound, insieme con il figlio Sigfried ha portato l’associazione in tribunale per abuso della memoria. Ma ha perso la battaglia: il giudice ha rigettato l’istanza considerando il nome Casapound diverso da Ezra Pound, dunque legittimo. «Invece è un sopruso. Ma credo che la situazione in cui ci troviamo stia dando ragione a mio padre. I poeti sono veggenti».
In che senso?
«Pound ha visto più in là della politica e ha intuito cose che sarebbero accadute. Per esempio, il fatto che nel mondo di oggi i ricchi siano sempre più ricchi e che i poveri si impoveriscano. Perfino il Papa lo denuncia quotidianamente. Il problema che mio padre vedeva, che denunciò, è ancora tutto lì. E basta con le etichette che gli hanno cucito addosso».
Eppure Pound era anche un confesso ammiratore del Duce, che incontrò nel 1933.
«La sua adesione al fascismo era basata sulla constatazione che dopo la Prima guerra mondiale c’erano persone che in America come in Italia avevano paura del comunismo, e che Mussolini rappresentasse una possibilità di salvezza da quel pericolo. Lo fece perché credeva nella proprietà privata. Ma non nell’interesse privato, che è altra cosa».
Considera rischioso giudicare le parole degli uomini del passato con i criteri dell’oggi?
«Si sta confondendo il vocabolario. Non si dovrebbe applicare la political correct- ness di oggi alle parole di mio padre, che usava il linguaggio di allora, di quando è cresciuto. È stupido e ignorante brandire ideologie del passato come arma per il dibattito contemporaneo. Quindi la smettano di chiamarlo razzista. E rileggano i Cantos: sono chiarissimi per le persone di cultura - termine che preferisco a ‘intellettuali’ - in grado di leggerli e capirli. Le sue idee sono sufficientemente chiare in quel testo».
Cosa ne pensa dei tentativi di appropriazione di parte del nome di Ezra Pound?
«Si riferisce a Casapound? L’ho già detto: è un sopruso. E lo ha scritto molto bene Claudio Magris proprio sul Corriere. Anche al tempo di mio padre c’erano fanatici a Washington che dicevano di richiamarsi a lui: allo stesso modo ritengo che chiamarsi Casapound sia una forma di opportunismo. Ezra Pound non aveva casa. Non voleva possedere case. Si fabbricava perfino i suoi mobili».
Lei ha auspicato che si faccia una nuova traduzione in italiano dei Perché?
«Non l’ho chiesto io: era un pensiero di mio padre. Lui diceva: ogni generazione merita di avere una nuova traduzione. Il linguaggio cambia, come lei sa. Anche l’italiano, la bella lingua del sì, sta cambiando. E il significato dato a certe parole è diverso».
L’Alto Adige è stato il luogo dove suo padre ha trovato casa, con lei, appena rientrato dall’internamento in ospedale psichiatrico a cui era stato sottoposto negli Stati Uniti. Come vede cambiare la relazione tra germanofoni e italofoni?
«Mio padre ebbe parole di rispetto, nei Cantos, per la lingua locale. Che è e resta il tedesco. Questo non era un prendere le parti, ma il sapere che qui si parlava tedesco, a differenza di altri luoghi occupati dalla Germania durante la guerra. Quanto alla convivenza tra germanofoni e italofoni... Queste sono domande da fare ai giovani, alla generazione dei miei figli e nipoti. Non a una donna di novantatrè anni. Ecco, ho detto abbastanza».