Poliziotto morto sulle piste Cinque persone a giudizio
Cinque persone a giudizio per la morte di Bruno Paoli sulle piste da sci.
TRENTO Bastavano alcune precauzioni, una rete di sicurezza, e Bruno Paoli sarebbe ancora vivo. La pm Maria Colpani non ha dubbi, negli atti parla di «omessa verifica dell’assenza di pericoli atipici» e di mancanza di misure di sicurezza. Piccoli interventi e una maggiore attenzione da parte dei gestori degli impianti da sci e dei funzionari provinciali addetti alla vigilanza avrebbero potuto salvare l’agente della Polstrada di 48 anni morto a gennaio dopo la caduta in un dirupo a fianco della pista di collegamento tra la Malga Granda e la pista Rigolor della Panarotta. L’incidente risale al 20 gennaio scorso, il poliziotto che stava sciando insieme ai figli, è precipitato in una piccola scarpata battendo il capo su alcuni massi ed è morto in ospedale pochi giorni dopo.
La Procura nei giorni scorsi ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo a carico dei cinque indagati, i vertici della società che gestisce gli impianti, il presidente della Panarotta srl, Fabrizio Oss, il delegato alla sicurezza, Alberto Pedrotti, difeso dall’avvocato Monica Baggia, Renzo Gaiga, responsabile della sicurezza delle piste e due funzionari provinciali, Silvio Dalmaso, dirigente del Servizio Turismo e Impianti a fune e Gianfranco Mittempergher, incaricato della vigilanza. Le contestazioni sono praticamente speculari all’avviso di conclusione indagini notificato ad agosto.
In particolare Oss nonostante fosse a conoscenza della pericolosità del tracciato (c’erano due segnalazioni della forestale del 30 dicembre 2017 e del 2 gennaio 2018) non avrebbe adottato alcun «mezzo prevenzionistico di incidenti», come, ad esempio reti di sicurezza «a protezione della scarpata». Stesse accuse vengono mosse a Pedrotti. Secondo la ricostruzione dell’accusa anche Gaiga era informato della pericolosità della pista, ma non avrebbe fatto nulla per metterla in sicurezza. In questo modo ha «permesso il permanere della condizione di pericolosità — scrive la pm — su una pista classificata facile e frequentata quotidianamente da principianti». A Dalmaso la Procura contesta invece la mancata adozione di prescrizioni nei confronti della società Panarotta srl. Il funzionario provinciale secondo la Procura era a conoscenza della pericolosità del tracciato, aveva partecipato anche a uno degli ultimi sopralluoghi, ma non avrebbe fatto nulla, anche Mittempergher, nonostante fosse incaricato della vigilanza, sarebbe rimasto inerme. Ora i 5 dovranno difendersi in udienza preliminare a marzo. In quella sede la famiglia di Paoli, difesa dall’avvocato Claudio Tasin, che chiede 1 milione di danni e per ora è ancora in attesa di una risposta delle assicurazioni, potrà costituirsi parte civile.