Ali e i venti profughi via da Trento «Perché non ci vogliono qui?»
Ma la Provincia risponde: «Soluzione equa, nessuno rimarrà per strada»
«A Trento ci stavamo integrando, perché non ci vogliono qui?». È la domanda che si pongono i 20 profughi trasferiti dopo la sospensione dell’accoglienza-ponte. La Provincia: nessuno resterà per strada.
TRENTO Ali Tayeb, Salah, Imran e Mohammed Raouf sgranano gli occhi. Non capiscono subito. Ripetono la domanda più volte. Poi chi mastica meglio l’inglese lo spiega ai connazionali: non è detto che possano rimanere ancora alla residenza Fersina. Alcuni di loro (una ventina) dovranno lasciare il Trentino, destinati ad altre città italiane. «No, Milano no» continua a ripetere Mohammed. E come lui nessuno di loro, nonostante abbiano trascorso giorni senza la garanzia di un pasto e un tetto, se ne vuole andare: «Mi sono fatto qualche amico, conosco i posti — ammette Salah — cambiare città significherebbe ricominciare tutto da zero. Per l’ennesima volta».
Questi quattro uomini fra i 30 e i 47 anni fanno parte della quarantina di richiedenti asilo, per la maggior parte di origine pachistana, inseriti nel progetto promosso dal Comune di Trento con base nella struttura di via Fersina che il governatore Fugatti aveva sospeso nei giorni scorsi e che hanno rischiato di finire in mezzo a una strada. Dove hanno vissuto per mesi. «Undici per l’esattezza» fa sapere Imran. È disperato. Gira con un plico di referti medici sotto al braccio e un kit di emergenza per il diabete: «Ho una placca di metallo nella schiena, ho subito otto operazioni chirurgiche in Germania ma qui sembra non importi a nessuno. Sono da solo, non ho famiglia né amici e sto male, ho chiesto di dormire in una stanza più piccola, ma non vengo ascoltato: non faccio parte del progetto mi dicono».
Già, il progetto di accoglienza nel quale ancora non sono inseriti. E che per la metà di loro rimarrà solo un miraggio. «Abbiamo fatto richiesta di adesione — rivela Salah, marocchino, 30 anni — è troppo importante. È il solo modo per poter seguire dei corsi di lingua: imparare l’italiano è fondamentale per poblino. tersi integrare». Per tre volte ha provato a raggiungere l’Austria, per altrettante è stato respinto: «Footprint» dice con l’indice alzato. Le impronte digitali gli sono state prese in Italia, il suo Paese di approdo, ed è qui che deve tornare secondo il regolamento di Du- Con Imran, pachistano, che ha vissuto per undici anni in Germania. Tutti, per mesi, hanno dormito al parco Santa Chiara.«Stamattina (ieri, ndr) ci hanno dato di nuovo i pasti e la tessera per accedere alla struttura» afferma Ali Tayeb, incredulo nell’apprendere la notizia che potrebbe dover lasciare il Trentino. «La gente vuole che torniamo a casa nostra ma io ho venduto la mia per venire qua. In Pakistan la vita non è facile, la povera gente ha solo problemi. I politici fanno la bella vita, mentre ci sono persone che non hanno né cibo né acqua». Ha due figli in Pakistan: se è qui è per provare a dare loro un futuro.
«Abbiamo trovato una soluzione equa — ribadisce intanto Fugatti —. Garantiamo che nessuno resti in strada e al freddo, ma al tempo stesso facciamo capire che il Trentino non può essere la culla dei nuovi richiedenti asilo».