Corriere del Trentino

Faranda, Ricci e l’incontro che cambiò le loro vite

L’ex br e il figlio del carabinier­e ucciso in via Fani insieme a Bolzano «Liberi dal passato»

- di Raffaele Puglia

Due vite, due protagonis­ti di una delle pagine più drammatich­e della Prima Repubblica, unite da una stessa data: il 16 marzo 1978. Quel giorno, in via Mario Fani, a Roma, l’allora presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro viene rapito da un commando delle Brigate Rosse. Pochi secondi che hanno cambiato per sempre la storia del nostro Paese.

All’epoca Giovanni Ricci era solamente un bambino innocente al quale fu strappato per sempre il padre, il caposcorta di Moro, Domenico Ricci.

Del commando brigatista faceva parte invece Adriana Faranda, la postina delle Brigate Rosse, una giovane ragazza di buona famiglia che aveva scelto di aderire a un gruppo «politico» basato su ideali portati all’estremo.

A distanza di quarant’anni da quel 16 marzo 1978, che vide morire tutti gli uomini della scorta dell’allora leader Dc, i due protagonis­ti si sono rincontrat­i, entrambi parte di un percorso di giustizia riparativa, il sistema partecipat­ivo e inclusivo che mette vittime e autori del reato gli uni al fianco degli altri, cercando di superare diffidenze, rancori e rabbia.

«Mi sono svegliato con la consapevol­ezza che dovevo far sparire dalla mente quel mostro buio, quella foto di mio padre del 16 marzo sbattuta sulla prima pagina di Repubblica – ricorda Giovanni Ricci, ieri sera ospite a Bolzano in un dialogo con Adriana Faranda e il criminolog­o Adriano Ceretti - Dopo aver ricevuto la notizia che mio padre era morto, qualcuno lasciò il giornale Repubblica davanti casa mia. Sulla prima pagina vidi mio padre crivellato di colpi senza lenzuolo. Quel giorno fu devastante per me, mi ha annientato».

Da quel giorno Giovanni Ricci smette di essere bambino e diventa uomo. Un uomo alla ricerca della verità: «A 13 anni il professore di matematica mi trovò in classe in seconda liceo con il verbale del processo Moro nello zaino – prosegue Ricci - Una mattina del 2008 mi sono svegliato dopo l’ennesimo incubo e ho capito che se volevo uscire da quella situazione dovevo affrontare i mostri che turbavano i miei sogni».

Così, nella vittima, nasce il desiderio di incontrare coloro che avevano stravolto la sua vita. Lo strumento è la giustizia riparativa, attraverso la quale incontra Franco Bonisoli, Valerio Morucci e, anche, Adriana Faranda. «Ci vuole molto più coraggio a costruire, a combattere tutti i giorni una lotta completame­nte diversa – ammette l’ex brigatista - Ci vuole più coraggio a saper ascoltare, raccontare, piuttosto che a impugnare un’arma e andare a compiere un attentato o sparare a qualcuno».

Degli anni di piombo la Faranda ricorda il momento in cui mette in dubbio le azioni che stavano conducendo: «La mia vita da combattent­e che vedeva il nemico da abbattere è finita realmente nel momento in cui sono stata arrestata – ricorda Faranda - Quando discutevam­o sul fatto se liberare o meno Moro mi accorsi che avevo sbagliato tutto, che ero in una macchina che aveva leggi proprie. Quando uscii dalle Br, entrai a fare parte di un’altra interna area indottrina­ta. Non avevo ancora deciso che con il nemico si potesse dialogare. Il primo momento della carcerazio­ne è stato molto ribelle, ma non credevo più nella lotta armata. Il mio percorso non è stata una resa nel senso che ho capovolto il mio punto di vista sul mondo, su quello che ritengo ingiusto. Quello che metto in discussion­e è la scelta di violenza che abbiamo fatto».

Per entrambi la giustizia riparativa diventa l’inizio di una seconda vita: «Questo modello di giustizia mi ha permesso di andare avanti, di andare oltre. Grazie a questi incontri ho ripreso in mano le fotografie di mio padre, i filmini e quotidiana­mente rivivo la vita», afferma Ricci.

Per Faranda il metodo della giustizia riparativa è stato l’occasione per mostrare a Giovanni Ricci, oggi sociologo, di essere più di quello che nel 1978 ha commesso: «Con questo percorso sono diventata libera, perché sento che sto ricucendo quello che è la cosa più importante, le relazioni umane», ha concluso Faranda.

Faranda

Ci vuole più coraggio ad ascoltare, raccontare, piuttosto che impugnare un’arma contro qualcuno

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L’incontro L’ex br Adriana Faranda insieme a Giovanni Ricci, figlio di Domenico, carabinier­e ucciso nel sequestro Moro
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