Parlano i minatori «Lavorare nella galleria? Siamo una famiglia»
Dalla Sardegna all’Albania, chi sono gli operai che stanno scavando la galleria più lunga del mondo
BOLZANO Se amate una vita casa ufficio, le serate in famiglia ed i week end coi bambini, la vita del minatore non fa davvero per voi. Del resto, i grandi progetti, e il tunnel di base del Brennero non fa eccezione, impongono grandi sacrifici, i più pesanti dei quali, dal lato umano e personale, sono solitamente richiesti alle maestranze. Mesi e anni, spesso una vita lontano da casa, la famiglia che si rivede per poche ore ogni 12 giorni se tutto va bene. Cioè due volte al mese, con in mezzo turni, a volte interminabili, di otto ore di lavoro, pasti in mensa, e il riposo nella tua stanzetta singola, 10 metri quadrati, a disposizione nei prefabbricati di quello che, in gergo, si chiama il “campo base”. Eppure, se chiedete a un minatore perchè lo fa, la risposta che otterrete in prevalenza è: «perché mi piace!»
«É un lavoro duro, ma ti ci abitui e, contratto dopo contratto, finisce che la fatica non conta, perché sei tu che non puoi più fare a meno dell’umanità e delle relazioni solidali che si creano a 30, 50 o 100 metri nel sottosuolo. In questo, anche i lavoratori del cantiere del consorzio Isarco, che realizza il lotto più a sud del Bbt non fanno eccezione». Corrado Vista, minatore carpentiere, ha casa e famiglia a Molfetta, Puglia: «Li rivedo una volta ogni 12 giorni. Parto da Verona, Bologna o Bergamo in aereo, e in un paio d’ore di volo sono a casa. Un paio di giorni con mia moglie e mio figlio, poi si ritorna». Non le pesa? «A me, no. Pesa un po’ alla mia famiglia, a mio figlo in particolare. Però quando vede le foto di dove lavora il papà, di quello che costruisce, si inorgoglisce anche lui». E la fatica? «Il lavoro è duro, ma mi piace. E mi piace il clima di squadra che respira. E poi oggi, anche un lavoro come il nostro è prezioso!».
Flamur Keta invece è di Bergamo. Arrivato dall’Albania, oggi è cittadino italiano: «Sono arrivato oltre 20 anni fa. Ho cominciato questo lavoro per necessità, perché allora questo c’era. Poi è diventata una passione. Oggi, dopo 20 anni, non lo cambierei più». A Bergamo Flamur ha moglie e tre figli: «Li vedo una volta ogni 12 giorni, come tutti. Il resto è cantiere e compagni di lavoro. Stiamo bene insieme, ci conosciamo e siamo amici. E le amicizie che nascono in cantiere, non si spezzano». Vivere lontano non è un peso? «I disagi ci sono dovunque. Preferisco pensare di essere fortunato a lavorare per una grande azienda, dove tutto funziona e tuoi capi sono anche tuoi amici. Non è dappertutto così».
Giampiero Ferru è sardo, di Sassari, e il lavoro di minatore l’ha ereditato. «Mio padre e mio zio erano minatori. Io a scuola non ero un leone, e sono diventato minatore anch’io. E mi trovo bene. É dura, ma quando ci fai l’abitudine, questa la vita ti entra nel sangue». Ma a volte, non viene la voglia di cambiare? «Ho imparato ad apprezzare il fatto di avere un lavoro, sul quale puoi contare e che ti dà un futuro. E poi — aggiunge ridendo — io sono fortunato. A casa ci posso tornare in aereo, ma anche in nave».
Il capo squadra, è Bashkim Hoxha. In Albania ha conseguito la laurea in biologia chimica che l’Italia non gli riconosce per pochi esami. Ma i gradi di caposquadra li ha conquistati sul campo: «Mi ha sempre appassionato anche l’edilizia, eccomi qui. Sono orgoglioso mio del lavoro, e sono felice che anche mia moglie e i miei due figli lo siano». Creare opere come queste alla fine dà soddisfazione. «É vero, orgoglio e soddisfazione. Ma anche il nostro lavoro in sè dà soddisfazione. Qua sotto siamo come una famiglia!».
Il più giovane della squadra è Ervin Smeli. Vive a Brescia dove ha moglie e 2 figli piccoli. «La vita è pesante ma se cambi sai cosa lasci, ma non sai cosa trovi».