«Ecco la mia forchetta multiuso»
Thomas Fitts oltre la disabilità. L’invenzione in collaborazione con il centro Martini
Si chiama «Forkeat» ed è una posata multiuso che permette di mangiare con una sola mano. L’ha inventata il roveretano Thomas Fitts, che nel 2009, a seguito di un incidente in moto, ha perso l’uso del braccio sinistro. «Non esistono invenzioni per disabili, ma invenzioni con diverse applicazioni di cui alla fine beneficia l’intera collettività» spiega Fitts, che ha elaborato la sua invenzione in collaborazione con il centro Franca Martini di Trento.
TRENTO Per il roveretano Thomas Fitts l’inclusione sociale è tutta una questione di galateo, o meglio, di forchette. In che senso? Lo ha spiegato al Muse in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità promuovendo un pomeriggio all’insegna della diversità tra bar al buio, percorsi in carrozzina e laboratori creativi.
Rovesciamo il paradigma e parliamo di «normalità». Che cos’è secondo lei?
«È poter fare quello che amiamo fare. E ingegnarsi anziché abbattersi davanti alle difficoltà. Per un disabile come me, che a causa di un incidente in moto ho perso l’uso del braccio sinistro, essere normale significa innanzitutto essere autonomo nelle piccole cose di casa, come pelare le patate o mangiare una bistecca senza l’aiuto di terzi».
Un concetto d’inclusione che comincia dalla tavola e che ha addirittura trasformato in un’idea d’impresa.
«Dopo l’incidente sono stato in coma e ho dovuto affrontare una lunga riabilitazione. Dovevo contare sugli altri per tutto. Un giorno, dopo l’ennesimo controllo, mi accompagnarono a mangiare un trancio di pizza e mi accorsi che la cameriera non usava la rotella, bensì una forbice per alimenti. Fu un’illuminazione».
Questa, dunque, la genesi
«Esatto, pensai che se fossi riuscito a fondere in un unico strumento a scatto lame e arpioni per portare il cibo alla bocca sarei stato di nuovo in grado di mangiare da solo e così, in collaborazione con il centro riabilitativo Franca Martini di Trento, sviluppai il primo prototipo».
Primo di una lunga serie: oggi infatti esistono Forkeat affilate come coltelli da carne, ma anche esemplari maneggevoli con le punte smussate, adatti ai bambini.
«O agli anziani, ma anche ai catering, ai militari, agli escursionisti o a chi si porta l’insalata Caesar in ufficio e non riesce a tagliare il pollo con la forchetta. Secondo me, infatti, non esistono invenzioni per disabili, ma invenzioni con diverse applicazioni di cui alla fine beneficia l’intera collettività. Anche se forse, se non avessi perso l’uso del braccio, una posata così non l’avrei mai inventata».
L’incidente ha cambiato il rapporto con la disabilità?
«La mia famiglia è di Rovereto e io stesso sono tornato qui una volta dimesso dall’ospedale, ma fino al 2009 vivevo a Montecarlo. Mi sono occupato di automobili, di ristorazione e gli affari andavano bene. Come la gran parte dei monegaschi, avevo un rapporto costante ma superficiale con la disabilità. Facevo beneficienza. Nel principato, non uscivo di casa prima delle due del pomeriggio se non per appuntamenti di lavoro importanti. Adesso invece apprezzo il valore di un caffè bevuto la mattina al bar del quartiere o un’ora dedicata al volontariato».
È «normalizzatore» al centro Martini. In che cosa consiste questa figura?
«Nell’aiutare quelli come me a non farsi rubare la quotidianità dalla disabilità. Lavoro con 5-6 residenti della struttura. Andiamo a fare shopping, al ristorante, a teatro, al cinema. In gruppetti, come nella vita vera».
La soddisfazione più grande?
«Aver portato una residente paralizzata dalla vita in giù alla Notte bianca ed essere rimasti fuori fino alle due. La città era in festa e lei guardava l’orologio incredula. Non riusciva a credere che una persona disabile potesse avere tanta libertà. Mi sono sentito felice e ho pensato che in fondo la differenza tra normalità e disabilità sta tutta nel capire che stai uscendo, parlando o incontrando una persona e non la sua carrozzella».