Il lato femminile del turismo alpino tra moda e lavoro
Le pioniere del turismo in alta quota in mostra a Palazzo Thun Le differenze tra donne del posto e cittadine e le influenze nei look Stampe, foto e ornamenti d’epoca
Per quanto, a botta calda, possa sembrare difficile, la storia della montagna e dell’alpinismo (che del turismo in quota ha segnato tutti i prodromi) è stata scritta anche dalle donne.
E lo si può leggere chiaramente nella mostra sul turismo alpino femminile aperta fino al 28 dicembre nella sala Thun di Torre Mirana, a palazzo Thun, a Trento. Un’esposizione di fotografie e stampe d’epoca, di oggetti e gioielli racchiusi tra il XIX e il XX secolo, con le «pioniere» del turismo in alta quota e le influenze reciproche tra donne «borghesi» e donne «di montagna» tanto nella moda quanto nel lavoro. Mostra curata da Rosanna Cavallini e Laura Gaspari, con opere e oggetti della collezione Cavallini e del museo Casa Andriollo. Tanti punti di distanza, tra chi in montagna abitava e chi, invece, ci arrivava d’estate (il turismo invernale con lo sci sarebbe arrivato solo in un secondo momento) un po’ per l’aria buona dopo undici mesi di polvere e stufe a carbone, un po’ — in misura minore ma nel peso specifico di qualità potentissima — per misurarsi con l’alpinismo dei chiodi di ferro e delle corde in canapa, l’antenato dell’arrampicata moderna.
Tanti punti di distanza ma uno, saldissimo, in comune, con la capacità di affrontare le difficoltà e di superare gli ostacoli — a volte fisici, molto più spesso di pregiudizio — che venivano frapposti tra la posizione subalterna in cui si trovava la donna e la voglia, dirompente, di mettersi alla prova. «Le donne turiste vestivano tutte di bianco in estate — racconta Rosanna Cavallini — e di contro le locali, la domenica, vestivano coloratissimi costumi tradizionali. Nasce da qui la moda di vestire i bambini alla tirolese. In un secondo momento arriva la moda di copiare gli ornamenti delle donne di montagna, che diventano souvenir: e dal look si vedono subito le differenze tra le locali e le turiste». Non solo italiane, ovviamente, le donne alpiniste e turiste in quota. Ci sono anche le tedesche e le inglesi, con cappelli a larga tesa e abiti lunghi. Abiti e cappelli improntati quasi a una sorta di «decalogo» che apriva, timidamente, le porte a un abbigliamento diverso ma richiamava anche alla tradizione. Al decoro sempre e comunque. Ma qui le gonne lunghe restano nei capanni, nei rifugi, per far posto ai pantaloni di velluto, di fustagno. E si va indietro di molto, agli inizi dell’Ottocento, con le donne in montagna. Dapprima quasi senza nome, o comunque in posizione talmente secondaria da non essere ricordate. È il caso di Marie Paradis, inserviente in una locanda di Chamonix, prima donna in cima al Monte Bianco coinvolta nell’impresa di Jacques Balmat e Michel Piccard, i primi salitori della vetta più alta delle Alpi.
L’inglese Lucy Walker, nel luglio 1871, fu la prima donna a scalare il Cervino, una delle vette più difficile e temute non solo allora ma anche nei decenni successivi. E per scalare più agevolmente Lucy, che ha 36 anni, osa quello che nessuna aveva osato prima: si toglie la lunga, pesante e ingombrante gonna e procede tranquillamente in sottoveste, con un gesto che ha un valore anche simbolico, a saperlo guardare. In Italia basta ricordare Mary Gennaro Varale, nata nel 1895, oltre duecento vie in cordate con i migliori alpinisti del suo tempo con «prime» femminili straordinarie: lo Spigolo Giallo delle Tre Cime, la Sud Ovest del Cimon della Pala, la Sud della Torre Est del Vajolet, la Cime dei Tre sulla Moiazza. E su, su fino alla veneziana Luisa Iovane, classe 1960, compagna di vita e di scalate di Heinz Mariacher.
Ma turismo e alpinismo femminile hanno anche spalancato le porte al lavoro femminile, in bar e alberghi, e le balie scendono nelle città dalle montagne. Si apre un mondo nuovo, che non ha ancora finito il suo ciclo.