«Liti sui cartelli, impariamo dai ladini»
Chiodi, politico e albergatore in Gardena: «Da noi tutto è trilingue, dobbiamo guardare avanti L’appello: «Costruiamo una società aperta: abbiamo tutte le opportunità economiche e culturali»
BOLZANO Giornalista, una carriera di vertice in Rai, politico e albergatore in Val Gardena, Ennio Chiodi propone la sua ricetta di fronte a una terribile tragedia, quella della piccola Emili a Renon, che riaccende la polemica su bilinguismo, toponomastica e cartelli.
La toponomastica resta ancora una questione troppo divisiva
Chiodi come usciamo da questo circolo vizioso?
«Se ne esce con il buon senso. Non è possibile che fatti che hanno un significato universale debbano essere sempre interpretati in chiave etnica».
Qual è la sua esperienza di albergatore gardenese su questi aspetti?
«Mai avuto una famiglia di clienti che si sia lamentata dei cartelli sulle montagne. È un problema che riguarda noi. Gli altri vogliono solo essere certi di capire dove vanno e andarci in sicurezza. Se una malga ha un nome italiano, tedesco o ladino a loro non importa. Interessa che sia intellegibile e basta».
La scritta solo in tedesco può essere stata determinante per il grave incidente?
«C’è un’inchiesta in corso che ha già dato alcuni primi responsi. A mio avviso la mamma della bambina non ha capito che lì era pericoloso, ma non perché fosse scritto solo in tedesco e non in italiano. Se fossero stati norvegesi o coreani non avrebbero potuto leggere comunque la scritta. Quindi il problema non è italiano o tedesco, ma forse che il pittogramma non era abbastanza visibile».
Dunque secondo lei è una strumentalizzazione?
«Ci sono stati certamente tentativi di strumentalizzazione. Il fatto è estraneo al tema più generale dei cartelli e della toponomastica. È un discorso diverso. Ogni problema da noi diventa ancora e sempre un problema etnico, nonostante i decenni passati e i ragionamenti fatti. Dobbiamo assolutamente cercare di superarlo e possiamo farlo solo col buon senso diffuso e condiviso. Se strumentalizziamo situazioni che non sono immediatamente riferibili a questo tipo di problema, si manda tutto all’aria».
La situazione gardenese potrebbe essere un esempio?
«I cartelli e le indicazioni da noi sono trilingui. C’è una abitudine diffusa a chiamare le cose col loro nome più comune e immediato. L’Alpe di Siusi è tale per tutto il mondo non è Seiseralm o Mont Sëuc se non per i tedeschi e ladini. I Giapponesi o i Russi vogliono andare all’ Alpe di Siusi o sulle Dolomiti. Lo stesso dicasi per Val Gardena. Sono cose che si vanno formando con l’abitudine e col buon senso della gente».
Perché nelle valli ladine il bi-trilinguismo è un fatto compiuto?
«È un fatto generazionale e di secoli in quanto minoranza nella minoranza. Solo recentemente il Ladino, la cultura e l’orgoglio di essere Ladini è tornato forte. Poi c’è anche un aspetto nuovo del turismo che porta da queste parti gente di molte nazionalità diverse, ultimamente in maniera assolutamente globale».
Che ospiti ci sono ora nel suo albergo?
«Qui da me ci sono Ucraini, Moldavi e Russi e una sola famiglia italiana. Ci vuole dunque un cambio di paradigma. Dobbiamo fare un passo avanti. Qui i nomi dei monti sono tutti in ladino perché è nell’uso comune e non si usano quelli italiani o tedeschi. Ogni toponimo ha una sua storia e ha avuto una sua capacità di imporsi e questo va rispettato, fuori dalle ideologie».
L’Alto Adige e le sue montagne rischiano di diventare antipatici perché ci atteggiamo a primi della classe, scaricando le colpe su turisti inesperti?
«Non dobbiamo avere la puzza sotto il naso, ma svolgere un ruolo positivo di educatori al rispetto della montagna. Quando uno dei miei ospiti va in scarpe da ginnastica in montagna, glielo faccio notare e gli spiego che non è il caso. Il risultato è sempre un accoglimento del consiglio che viene percepito come un gesto in più di attenzione».
Il problema della toponomastica poteva oggi essere risolto senza il famoso «no»
«Ha fatto bene a mettersi di traverso rispetto al Pd, perché era difficile restare in quel partito in quella situazione. Forse ha usato la toponomastica come buona occasione per farlo, ma non posso giudicare perché non c’ero».
Come pensa si possa risolvere il problema?
«Se dobbiamo mettere in discussione le convivenze raggiunte per la toponomastica non ne vale assolutamente la pena. E’ una questione divisiva e se riuscissimo a superare le questioni che ci dividono sarebbe molto meglio. Su certi temi molto radicalizzati come il bilinguismo, la scuola bilingue, la toponomastica dovremmo davvero fare un passo avanti».
Ma il bilinguismo è ancora importante?
«Sono assolutamente d’accordo con Michl Ebner quando preconizza una società plurilingue: il nostro problema non è il bilinguismo. Dobbiamo superarlo e costruire davvero, con tutte le opportunità che abbiamo, culturali, economiche ed autonomistiche, una società non chiusa su se stessa e sul suo bilinguismo. Guardiamo avanti».
I turisti vogliono capire dove vanno, al di là della lingua che viene usata