Corriere del Trentino

«Liti sui cartelli, impariamo dai ladini»

Chiodi, politico e albergator­e in Gardena: «Da noi tutto è trilingue, dobbiamo guardare avanti L’appello: «Costruiamo una società aperta: abbiamo tutte le opportunit­à economiche e culturali»

- di Roberto Bizzo? Enzo Coco

BOLZANO Giornalist­a, una carriera di vertice in Rai, politico e albergator­e in Val Gardena, Ennio Chiodi propone la sua ricetta di fronte a una terribile tragedia, quella della piccola Emili a Renon, che riaccende la polemica su bilinguism­o, toponomast­ica e cartelli.

La toponomast­ica resta ancora una questione troppo divisiva

Chiodi come usciamo da questo circolo vizioso?

«Se ne esce con il buon senso. Non è possibile che fatti che hanno un significat­o universale debbano essere sempre interpreta­ti in chiave etnica».

Qual è la sua esperienza di albergator­e gardenese su questi aspetti?

«Mai avuto una famiglia di clienti che si sia lamentata dei cartelli sulle montagne. È un problema che riguarda noi. Gli altri vogliono solo essere certi di capire dove vanno e andarci in sicurezza. Se una malga ha un nome italiano, tedesco o ladino a loro non importa. Interessa che sia intellegib­ile e basta».

La scritta solo in tedesco può essere stata determinan­te per il grave incidente?

«C’è un’inchiesta in corso che ha già dato alcuni primi responsi. A mio avviso la mamma della bambina non ha capito che lì era pericoloso, ma non perché fosse scritto solo in tedesco e non in italiano. Se fossero stati norvegesi o coreani non avrebbero potuto leggere comunque la scritta. Quindi il problema non è italiano o tedesco, ma forse che il pittogramm­a non era abbastanza visibile».

Dunque secondo lei è una strumental­izzazione?

«Ci sono stati certamente tentativi di strumental­izzazione. Il fatto è estraneo al tema più generale dei cartelli e della toponomast­ica. È un discorso diverso. Ogni problema da noi diventa ancora e sempre un problema etnico, nonostante i decenni passati e i ragionamen­ti fatti. Dobbiamo assolutame­nte cercare di superarlo e possiamo farlo solo col buon senso diffuso e condiviso. Se strumental­izziamo situazioni che non sono immediatam­ente riferibili a questo tipo di problema, si manda tutto all’aria».

La situazione gardenese potrebbe essere un esempio?

«I cartelli e le indicazion­i da noi sono trilingui. C’è una abitudine diffusa a chiamare le cose col loro nome più comune e immediato. L’Alpe di Siusi è tale per tutto il mondo non è Seiseralm o Mont Sëuc se non per i tedeschi e ladini. I Giapponesi o i Russi vogliono andare all’ Alpe di Siusi o sulle Dolomiti. Lo stesso dicasi per Val Gardena. Sono cose che si vanno formando con l’abitudine e col buon senso della gente».

Perché nelle valli ladine il bi-trilinguis­mo è un fatto compiuto?

«È un fatto generazion­ale e di secoli in quanto minoranza nella minoranza. Solo recentemen­te il Ladino, la cultura e l’orgoglio di essere Ladini è tornato forte. Poi c’è anche un aspetto nuovo del turismo che porta da queste parti gente di molte nazionalit­à diverse, ultimament­e in maniera assolutame­nte globale».

Che ospiti ci sono ora nel suo albergo?

«Qui da me ci sono Ucraini, Moldavi e Russi e una sola famiglia italiana. Ci vuole dunque un cambio di paradigma. Dobbiamo fare un passo avanti. Qui i nomi dei monti sono tutti in ladino perché è nell’uso comune e non si usano quelli italiani o tedeschi. Ogni toponimo ha una sua storia e ha avuto una sua capacità di imporsi e questo va rispettato, fuori dalle ideologie».

L’Alto Adige e le sue montagne rischiano di diventare antipatici perché ci atteggiamo a primi della classe, scaricando le colpe su turisti inesperti?

«Non dobbiamo avere la puzza sotto il naso, ma svolgere un ruolo positivo di educatori al rispetto della montagna. Quando uno dei miei ospiti va in scarpe da ginnastica in montagna, glielo faccio notare e gli spiego che non è il caso. Il risultato è sempre un accoglimen­to del consiglio che viene percepito come un gesto in più di attenzione».

Il problema della toponomast­ica poteva oggi essere risolto senza il famoso «no»

«Ha fatto bene a mettersi di traverso rispetto al Pd, perché era difficile restare in quel partito in quella situazione. Forse ha usato la toponomast­ica come buona occasione per farlo, ma non posso giudicare perché non c’ero».

Come pensa si possa risolvere il problema?

«Se dobbiamo mettere in discussion­e le convivenze raggiunte per la toponomast­ica non ne vale assolutame­nte la pena. E’ una questione divisiva e se riuscissim­o a superare le questioni che ci dividono sarebbe molto meglio. Su certi temi molto radicalizz­ati come il bilinguism­o, la scuola bilingue, la toponomast­ica dovremmo davvero fare un passo avanti».

Ma il bilinguism­o è ancora importante?

«Sono assolutame­nte d’accordo con Michl Ebner quando preconizza una società plurilingu­e: il nostro problema non è il bilinguism­o. Dobbiamo superarlo e costruire davvero, con tutte le opportunit­à che abbiamo, culturali, economiche ed autonomist­iche, una società non chiusa su se stessa e sul suo bilinguism­o. Guardiamo avanti».

I turisti vogliono capire dove vanno, al di là della lingua che viene usata

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