Kollmann: quei nomi inventati umiliazione per noi sudtirolesi Ma la sicurezza è altra cosa
BOLZANO. La toponomastica non si esaurisce ai cartelli. Cristian Kollmann è il portavoce della sezione bolzanina di Südtiroler Freiheit ma è, soprattutto, il più esperto in materia nel partito separatista. Non è un caso che il suo approccio alla questione sia certamente politico, ma anche tecnico.
«Sento sempre parlare di esperti che forniscono la loro opinione sulla toponomastica e mi chiedo. Perché vengono definiti “esperti”? E perché ragionano di opinioni personali su una materia così tecnica?»
Se fosse così semplice l’applicazione, non ci sarebbero interpretazioni singole che accendono le polemiche.
«Il fatto che non sia applicata sistematicamente una legge è un discorso diverso e dipende anche dalla politica. Fino a quando la Provincia non chiarirà cosa intende davvero con obbligo di bilinguismo dal punto di vista normativo il problema rimarrà»
L’uso delle lingue non sembra così interpretabile come indicazione: o c’è o non c’è.
«Non sui toponimi. In questo caso parliamo di bilinguismo istituzionale, ma possiamo considerare istituzionale un nome imposto con decisione fascista che non ha nessuna storia, né radice? Prendiamo Collalbo: la sua etimologia sarebbe “colle chiaro”. Cosa c’entra con il tedesco Klobenstein?».
Scusi ma, allo stato attuale, un turista italiano utilizza il nome di Collalbo. È in uso. Potrà avere diritto di orientarsi in base a questo o no?
«Vede, la differenza non è come lo chiama il turista. Può legittimamente indicarlo con il nome che preferisce. La toponomastica, però, non è solo cartellonistica. Il nome ufficiale di un luogo deve rispettarne i crismi storici e la sua natura. Nessuno dice nulla su Bolzano, Merano o Bressanone: il fondovalle altoatesino ha una storia di bilinguismo che va rispettata e tutelata. Non tutto il territorio, però, è così: molte aree non sono mai state caratterizzate da due lingue».
Onestamente: che fastidio può dare un processo che aggiunge senza togliere a nessuno?
«Per il gruppo italiano è solo un meccanismo di somma di due termini, ma per noi no. Per i sudtirolesi diventa una prevaricazione, un’imposizione e anche un’umiliazione. Non possiamo far finta di ignorare il contesto in cui sono nati questi nomi».
La tragedia del Renon non ha nulla a che fare con l’allergia alle traduzioni?
«Sul cartello c’era anche un pittogramma evidente».
D’accordo, ma c’era anche lo spazio per inserire la scritta in italiano. Perché non farlo? Qual è il motivo che ha portata alla decisione di eliminare la lingua di Dante?
«Qualunque sia stato, non è un buon motivo. Le avvertenze di sicurezza, le comunicazioni e le indicazioni devono essere fornite in entrambe le lingue. Nessuno di noi mette in discussione questa necessità. Però non dimentichiamoci una considerazione importante».
Quale?
«Deve sempre essere un atteggiamento vicendevole. Provi a fare una passeggiata a Bolzano: ci sono cantieri edili con ponteggi che riportano avvertenze di sicurezza solo in italiano».
Il visitatore usi le parole come vuole, ma la dizione ufficiale non può avallare dei falsi storici