Il crime di De Palo esalta le Dolomiti e omaggia Moroder
Il crime di De Palo tra le vette del Trentino-Alto Adige. «Omaggio a questa terra»
Chi ha ucciso la bibliotecaria altoatesina Anne Rose Werfel? Cosa si nasconde dietro la confraternita che organizza giochi di ruoli che finiscono nel sangue? A indagare sulla ragazza trovata morta tra un roseto in alta quota sulle Dolomiti, ci pensa l’ispettore Lukas Moroder di Ortisei. Ma la tela di misteri e domande sembra infittirsi.
Ruota intorno a questa storia crime, tutta ambientata in Trentino-Alto Adige, il nuovo romanzo di Riccardo De Palo La confraternita della rosa nera (Marsilio, 160 pagine, 16,50 euro), che lo scrittore presenta oggi alla libreria Mondadori Bookstore a Trento (ore 18), intervistato da Chiara Marsilli. E domani alla libreria Arcadia di Rovereto (ore 19), venerdì alla libreria Athena di Pergine Valsugana (ore 18).
Perchè ha deciso di ambientare questo giallo in Trentino-Alto Adige?
«Sono legato a questa regione da una lunga frequentazione e amo la montagna, soprattutto d’estate. La qualità della natura, e del silenzio, non ha paragoni. A Ortisei mi sono imbattuto in uno scenario meraviglioso e la mia mente di appassionato lettore di noir ha cominciato a lavorare. Un omicidio in Paradiso è qualcosa di paradossale»
Cosa aggiunge alla sua narrazione crime lo scenario delle montagne del Trentino Alto Adige?
«Ci sono scrittori come Donato Carrisi che tralasciano completamente l’ambiente in cui si muovono i suoi personaggi, che preferiscono concentrarsi sulla trama. Per me, al contrario, è il luogo che si riverbera sui personaggi, che li compenetra. Sento la potenza del genius loci. E in una regione di confine, è più facile avvertire certi fenomeni di attualità, certe tendenze, in maniera più percettibile (penso, per esempio, alla paura per gli stranieri). Qui il locale, il particolare, diventa più facilmente universale».
L’ispettore capo nella storia si chiama Moroder, come il celebre musicista e compositore altoatesino: un omaggio al personaggio?
«Certo, l’omaggio è evidente. Quando ho cominciato a immaginare il protagonista di questa storia, mi sono reso conto che non poteva chiamarsi che Moroder, non poteva che ascoltare la sua musica e provenire dallo stesso paese della Val Gardena. Inoltre mancava, nel variegato panorama di detective italiani, un agente di polizia di origine ladina: una lingua affascinante, che cambia di valle in valle, un patrimonio da proteggere. L’ho subito immaginato come un personaggio molto particolare: un montanaro che soffre di vertigini, in apparenza goffo nei movimenti, ma con un passato da dan-
zatore provetto. Un uomo sempre tra le nuvole, assorbito da piste improbabili che si rivelano, alla lunga, quelle giuste. Un personaggio sfuggente e affascinante».
Cosa la lega al Trentino Alto Adige?
«Una lunga frequentazione, soprattutto della zona di Ortisei. Mia moglie ci viene da quando era bambina e anche mio padre (che pure era un ammiraglio), mi portava in questa regione in vacanza, d’estate. Tornarci molti anni più tardi, più volte di seguito, mi ha aperto nuovi mondi»
In un momento in cui i personaggi più innovativi e affascinanti nel crime italia- no sono donne, poliziotte e ispettrici, perché la scelta tradizionale di un protagonista uomo, e invece di una donna, poliziotta subalterna come Helga?
«Sì, molti nuovi personaggi sono donne, anche Michael Connelly ha optato di recente per un’investigatrice, e trovo riuscito il personaggio di Solveig Berg, creato da Hanna Lindberg. Ma non è necessariamente il genere a creare l’innovazione.
E se la lasciamo crescere, prevedo anche in Helga Schneider un futuro da investigatrice provetta, molto più autonoma».
Com’è nata l’idea di questa storia?
«In maniera assolutamente spontanea. Mi sono ritrovato in uno splendido roseto in alta quota e la mia immaginazione ha cominciato a lavorare: come sarebbe stato ritrovare proprio qui il corpo di una giovane bibliotecaria uccisa? Far partire da qui la macchina narrativa? Così ho cominciato a creare una sorta di sceneggiatura. Quando la trama mi è apparsa nella sua interezza, ho cominciato a scrivere e non sono più riuscito a fermarmi»
Ci sono giallisti italiani a cui si ispira e perché?
«Il riferimento ad Antonio Manzini è palese, e quasi autoironico, per via del passato romano del mio ispettore. Ma le similitudini si fermano qui. Moroder è un po’ l’opposto di Rocco Schiavone, il suo contraltare delle Alpi orientali. Leggo in maggior misura, però, giallisti stranieri. Certe atmosfere e certi personaggi di Fred Vargas mi hanno in parte ispirato, ma credo che il mio romanzo abbia una sua connotazione molto originale. Mi piace scomodare molti generi diversi, nel tentativo di raccontare qualcosa di diverso dal solito. Ma cerco anche di inviare un messaggio forte ai lettori: cercate sempre di pensare con la vostra testa. Nessuno è come voi».
Sono legato alla regione da una lunga frequentazione. Scenari meravigliosi. Ho pensato all’impatto di un delitto in questo paradiso