Corriere del Trentino

«Funivia del Bondone? Finanziame­nto pubblico»

Per l’imprendito­re l’opera deve essere finanziata da Comune e Provincia

- Valentina Iorio

«La funivia del Bondone è un’opera pubblica e quindi devono farsene carico le istituzion­i. Non i privati». Così l’imprendito­re Gino Lunelli, che guarda avanti: «Serve un innovatore».

TRENTO «Io mi sono ritirato da tempo e non ho più intenzione di mettere mano a quel progetto». L’imprendito­re Gino Lunelli, ex presidente delle Cantine Ferrari, è netto: quella del Bondone è una partita che non lo riguarda più. Però, essendo «nato su quella montagna», non abbandona del tutto la speranza che qualcosa si possa ancora fare.

Lunelli , Lei è stato uno dei primi a proporre un piano di sviluppo per il Monte Bondone. Ora si torna a parlare della funivia, a distanza di anni ha ancora senso?

«Solo se si passa alle vie concrete. Le chiacchier­e vanno avanti dal 1927. Tutti dicono di voler fare qualcosa, ma alla fine non si fa mai niente. Noi avevamo costituito una società che poi ha incaricato alcuni studi, pagati profumatam­ente, per un piano di rilancio della montagna. Poi abbiamo fatto fare un plastico e lo abbiamo presentato al Comune di Trento. Alla fine ci siamo sentiti dire: “Dopo aver messo le mani sulla città le vogliono mettere sul Bondone”».

Andrà a finire così anche questa volta?

«La nomina di Dario Maestranzi sembra un segnale positivo. Attraverso il suo lavoro pare che si sia avviata una discussion­e seria, ma dopo tutti questi anni non voglio illudermi. Siamo in ritardo di sessant’anni».

Perché è così importante rilanciare il Bondone?

«È un posto meraviglio­so, è la montagna della città ed è un peccato che non sia valorizzat­a, soprattutt­o adesso che Trento sta conoscendo un nuovo boom turistico. Da questo punto di vista abbiamo ancora tanto da imparare dai nostri vicini altoatesin­i e austriaci. Se Bolzano o Innsbruck avessero una simile risorsa, di certo non la sprechereb­bero come stiamo facendo noi».

Il presidente Fugatti ha detto che il primo passo lo dovranno fare i privati. Che ne pensa?

«Stiamo scherzando? Parliamo di un’opera pubblica. Si tratta di collegare un quartiere di Trento con il centro della città. È un servizio pubblico e quindi devono farsene carico le istituzion­i. Prima di tutto il Comune e poi la Provincia».

Non sarebbe un’operazione troppo costosa?

«I costi di costruzion­e verrebbero ammortizza­ti in 50 anni. Forse all’inizio potrebbero esserci delle perdite, ma se «Trento alta» diventa una zona capace di attrarre un turismo di livello, alla fine sarà in grado di mantenersi da sola. Il bilancio comunale e anche quello provincial­e non hanno debiti e hanno anche un alto livello di rating. Credo che valga la pena rischiare».

A fine mese in Consiglio comunale ci sarà una seduta sull’impianto. Cosa si aspetta dalla discussion­e?

«Mi piacerebbe che ci fosse qualcuno in Comune o in Provincia che voglia di fare qualcosa di nuovo. Che abbia l’ambizione di essere ricordato per aver contribuit­o a cambiare il volto della città. L’ultimo ad aver avuto questo coraggio è stato Bruno Kessler. Oggi i politici si limitano ad essere gestori della quotidiani­tà, ma per fare qualcosa che rimanga nel tempo servono innovatori».

La sfida

Serve un innovatore che voglia essere ricordato per aver cambiato il volto della città

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