TRA DIRITTI E CONSENSO
Alternando fioretto e sciabola, le Province autonome di Trento e Bolzano hanno aggiornato il librone dei contenziosi con lo Stato, sciogliendo la cautela che aveva caratterizzato l’approccio dei primi mesi nei confronti del governo gialloverde. Per ora è avvenuto in modo asimmetrico: Trento ha impugnato la delibera del Cipe sulla sempre più aggrovigliata questione dell’A22; Bolzano vuole costruire un perimetro giuridico intorno al suo sistema di welfare, escludendo il reddito di cittadinanza. La convergenza riguarda un punto: sia Trento, dove sventola la bandiera leghista, sia Bolzano — dove il Carroccio è entrato nelle sale del potere dell’Autonomia — hanno avviato un contenzioso contro il Movimento 5 stelle da cui dipendono entrambe le partite. Questo è un primo dato politico: il conflitto infragovernativo si irradia sul territorio e apre nuove crepe.
Mentre il perimetro della controversia sul destino dell’AutoBrennero è limpido (autonomie locali e Stato si contendono la titolarità della concessione e gli utili dal debutto del regime di proroga), il reddito di cittadinanza sta assumendo la fisionomia di un rebus inestricabile.
L’autostrada è uno dei forzieri dell’Autonomia, il welfare è consenso ad ampio spettro. Qui le visioni delle due Province si sono differenziate. Il Landeshauptmann Arno Kompatscher ne ha fatto una questione statutaria — con le incertezze giuridiche che segnalano i costituzionalisti — per difendere la competenza primaria di Palazzo Widmann sulle politiche sociali e depotenziare l’effetto propaganda che il Movimento 5 stelle vorrebbe comunque promuovere con la misura, anche al nord dove l’apprezzamento per gli ex discepoli del grillismo è fragile e contenuto. Bolzano rinuncerebbe così ad una quota dei finanziamenti romani per preservare il suo reddito minimo di inserimento, erogato con una residenza di un anno (e un Isee di 9.300 euro) ma senza l’obbligo di accettare un impiego. Una soluzione che per il Carroccio rischia di tramutarsi in contraddizione.
Per la Provincia di Trento la nebulosa ha lentamente preso la strada dell’armonizzazione per rendere compatibili il «sostegno al reddito» trentino — che a differenza di quello altoatesino pone in capo ai percettori anche degli obblighi — e il reddito di cittadinanza nazionale. Da un lato, si è voluto proporre nella variazione di bilancio l’innalzamento della residenza da tre a dieci anni (con la promessa di estensione a tutte le voci dell’assegno unico), veicolando ancora l’idea discriminante del «prima i trentini» che assottiglia la sfera dei percettori fino al 40%; dall’altro, si è definito un emendamento al decreto in fase di conversione in legge che assicuri l’integrazione dei due provvedimenti. Governo permettendo. Piazza Dante interverrebbe per garantire la platea dei beneficiari non inclusa dal reddito di garanzia nazionale. Una strategia che mira a tutelare il principio delle politiche sociali come competenza primaria e a collaborare con il dispositivo economico-sociale fissato dal vicepremier Di Maio. La Provincia recupererebbe un po’ di risorse (fino a 13,3 milioni) da destinare ad altre priorità come il sostegno alla natalità.
La trama del contraddittorio è complessa ed è offuscata anche dalle sgrammaticature politico-istituzionali e da un notevole impoverimento delle competenze politiche che non facilitano la composizione dei problemi. In questo sottile varco gli interpreti attuali dell’Autonomia dovranno essere attenti a non farsi omologare dai processi nazionali, a non scambiare il facile consenso con le proprie prerogative, in primis offrire un’ermeneutica autentica e inclusiva della specialità. Senza innovazione e responsabilità, l’Autonomia è destinata a diventare ordinaria.