IDENTITÀ, RICHIAMO AMBIGUO
Adue mesi dall’insediamento della nuova giunta provinciale si può tentare di fare un primo bilancio delle sue intenzioni in materia di politica scolastica, anche se gli elementi su cui impostare un giudizio sono ancora poco definiti e contradditori. Nel programma elettorale della coalizione che ha appoggiato la candidatura di Maurizio Fugatti, i paragrafi dedicati alla scuola e all’istruzione non vanno oltre un’analisi scontata, probabilmente condizionati dalla natura contingente e strumentale del documento. Tuttavia, anticipano alcuni aspetti che meritano una riflessione e che sono già stati oggetto di un abbozzo di intervento, perlomeno a livello simbolico, e segnale di una volontà di dare un indirizzo alla politica scolastica.
Sia il presidente Maurizio Fugatti, sia il neoassessore all’istruzione e alla cultura Mirko Bisesti hanno diritto ad un tempo ragionevole per conoscere al meglio la realtà che devono governare. A maggior ragione, il neoassessore deve misurarsi con una complessità e una storia che non ammette scorciatoie e approssimazioni e quindi, a mio avviso, può accogliere di buon grado un suo personale periodo di tirocinio. Però gli esordi della nuova giunta non sono stati esenti da prese di posizione e da «raccomandazioni» poco felici e inutilmente divisive, quasi che bisognasse segnare ancora il punto pur in presenza di un esito elettorale gratificante.
L’uscita sulle divise scolastiche (per bocca dell’assessore Stefania Segnana), l’insistenza del presidente sull’allestimento dei presepi e sulla presenza del crocifisso nelle aule (che nel suo stringato intervento di insediamento, laddove si cura della scuola, occupa fin troppe righe), l’avversione pregiudiziale verso l’educazione di genere e per le pari opportunità, sono nitidi esempi di una mobilitazione permanente e specchio dell’agire quotidiano a livello nazionale della Lega, segnalando alcune incrostazioni evidenti: la forte dipendenza dall’impronta data al partito dal suo leader Salvini; l’appropriazione indebita di parlare a nome di tutti, ben sapendo che così non è; l’affidamento a temi utili a tener alto il livello di scontro come strategia per evitare nell’immediato di occuparsi delle vere questioni che dovranno essere prese in mano per dare corpo ad un progetto attrezzato. Questi primi esempi sembrano più funzionali a prefigurare la declinazione della parola «identità», termine che si accompagna a «scuola» nel titolo del programma elettorale riservato all’istruzione. «Identità» è un richiamo ambiguo e pericoloso, da maneggiare con molta prudenza. François Jullien in un suo breve saggio, invita a diffidare del concetto di un’indifferenziata «identità culturale», anticamera di integralismo e di chiusura in un proprio spazio. L’identità è qualcosa di riconoscibile se è scambio fatto di idee dinamiche e senza steccati.
In attesa di scelte più concrete, è ancora la lettura del programma elettorale (con le dichiarazioni programmatiche del presidente) che ci fornisce altre chiavi per capire che strada è stata imboccata. Credo che sia giusto sottolineare l’attenzione verso una più razionale organizzazione del progetto sul trilinguismo; la volontà di sostenere «le emergenze educative»; il riconoscimento di un eccessivo e non sempre giustifica- to appesantimento delle funzioni amministrative delle scuole; l’intenzione di ripensare alcune scelte della «Buona scuola». Altre questioni invece vanno interpretate con cautela, perché la loro attendibilità è affidata alla concreta applicazione. Ad esempio, l’intenzione di «salvaguardare i presidi scolastici periferici» (sono già state individuate un paio di aggregazioni da spacchettare, valutando se tornare al passato) sarebbe un’operazione di puro stampo post elettorale se non dovesse rientrare in una più ampia analisi sulla razionalizzazione scolastica provinciale, recensendo i veri elementi di criticità. Oppure, la ripresa della necessità della «obbligatorietà dello studio e della storia autonomistica», viste le premesse, non può non preoccupare chi nella scuola opera con cognizione di causa e competenza.
Altre questioni invece meritano di essere prese sul serio, però abbisognano di approfondimenti e di scelte meditate. Mi limito a due aspetti: il primo riguarda il binomio «Autonomia scolastica e Scuola dell’Autonomia». Ad ogni legislatura il confronto intorno a questo rapporto rivive e, al tempo stesso, rimane irrisolto, forse perché è un divenire che si definisce nel tempo sulla base di molteplici variabili. Il secondo si riferisce al disegno di ripristinare la figura del Sovrintendente scolastico e/o di una nuova Agenzia non meglio definita, riconoscendo così che le relazioni fra assessorato, Dipartimento della conoscenza e singole istituzioni sco- lastiche, così come sono, hanno bisogno di una cura efficace.
A mio parere, non ci può essere una soluzione unilaterale per queste due questioni. Ci vuole una sincera disponibilità del governo provinciale, ci vuole una forte e coraggiosa partecipazione delle scuole attraverso il coinvolgimento dei propri organi (a partire dai collegi dei docenti), ci vuole la presenza attiva delle forze sociali. Un buon inizio sarebbe la nascita di una dialettica franca che, senza negare i diversi ruoli, giustifichi il ricorso a concetti come «autonomia», «dipartimento», «sovrintendenza», «collegialità» e li restituisca alle pratiche quotidiane di docenti e allievi con rinnovato senso.
L’agenda Dall’autonomia scolastica al Sovrintendente: tanti temi