Corriere del Trentino

IMPRESE, TRA PENALE E SOCIALE

- Di Riccardo Borsari

Sono oramai diversi anni che anche in Italia si guarda, da varie angolazion­i, all’idea della responsabi­lità dell’impresa con occhi almeno in parte differenti da quelli per lungo tempo consolidat­i. Sovviene immediatam­ente il concetto, che va diffondend­osi pure tra le imprese di medie dimensioni, di «responsabi­lità sociale d’impresa», con il suo portato, per certi versi rivoluzion­ario, di attenzioni ad aspetti in (almeno apparente) contraddiz­ione con le regole del mercato.

Le istanze, non schiettame­nte economiche, e neppure giuridiche, che stanno alla base di tale tendenza si iscrivono in un contesto più ampio e variegato (persone, ambiente, onestà degli affari, trasparenz­a del mercato), dove trovano spazio anche temi morali e sociali che guardano alla necessità di un dialogo serrato tra economia, etica e diritto e dove un ruolo da protagonis­ta è giocato dall’autoregola­mentazione. Non si deve peraltro al puro caso, ritengo, che anche sul versante giuridico la novità forse più importante degli ultimi decenni passi per una riforma, davvero epocale, che tocca la responsabi­lità d’impresa.

Quest’anno arriva infatti alla maggiore età il corpo di norme (il «famigerato» decreto 231) che ha portato il nostro ordinament­o, sulla scia di impostazio­ni anglosasso­ni, a conoscere una forma di responsabi­lità, che per brevità definiremo penale, anche in capo alle imprese. Il diritto penale evoca, nell’immaginari­o collettivo, la «pena per eccellenza», il carcere.

È(stato) tradiziona­lmente costruito e plasmato secondo un paradigma antropocen­trico. Come conciliare, dunque, questo modello di responsabi­lità personale, con la carica di umanità del rimprovero nei confronti di un «atto colpevole», con l’idea di una sanzione a carico di un ente che non è dotato di corporeità? Il tema è assai complesso e variegato e ruota, ancora una volta non per caso, attorno all’idea di autoregola­mentazione nonché, correlativ­amente, di una responsabi­lità per la colpa dell’organizzaz­ione. Sono le regole, le modalità di funzioname­nto e azione che l’impresa si dà (o non si dà!), a costituire una sorta di anticorpi interni nei confronti di comportame­nti scorretti e illegali, a prevenire forme, potenzialm­ente assai gravi, di responsabi­lità ma, prima ancora, a incarnare l’occasione di rinnovamen­to profondo della governance e di abbandono di uno «stile di gestione» non adeguato o riflesso di una politica d’impresa anacronist­ica (o peggio). Una rivoluzion­e copernican­a, dall’applicazio­ne potenzialm­ente dirompente. Sullo sfondo, delicate questioni di rapporto tra etica individual­e ed etica collettiva, tra diritto, economia ed etica degli affari. Ecco, allora, che assume particolar­e interesse, specialmen­te per il mondo delle imprese, cercare di cogliere il dispiegars­i concreto della normativa; in altre parole come essa viene approcciat­a e «gestita» nei Tribunali, in particolar­e sul versante della valutazion­e dell’autoregola­mentazione di cui si diceva poco fa. L’osservazio­ne sull’applicazio­ne di questa disciplina nel Triveneto, grazie a un Osservator­io istituito presso l’Università degli Studi di Padova, mostra, sotto il profilo quantitati­vo, un andamento tendenzial­mente disomogene­o, seppure il numero dei procedimen­ti per anno risulti generalmen­te in calo nel corso del tempo. In particolar­e, si è passati dai 93 procedimen­ti del 2012 ai 61 nel 2016, ove peraltro negli anni intermedi il numero è prima sceso nel 2013 per poi risalire nel 2014; la Regione nella quale si è rilevato il maggiore numero di procedimen­ti è passata dall’essere il Veneto nel 2012 al Friuli Venezia Giulia nel 2016. Sul versante per così dire tipologico, a fronte della costante tendenza del legislator­e ad ampliare i reati la cui commission­e origina la responsabi­lità dell’impresa, i reati oggetto del maggior numero di procedimen­ti sono senz’altro quelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, seguiti, pur a distanza, dai reati ambientali e dai reati contro la Pubblica Amministra­zione; esigui, invece, i procedimen­ti instaurati per altri reati quali ricettazio­ne e riciclaggi­o, reati societari, e altro – per dare un’idea, 151 sono stati i procedimen­ti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, 31 per reati ambientali e 16 per reati contro la Pubblica Amministra­zione. Il dato potrebbe per un verso leggersi come esito di un più diffuso adeguament­o delle imprese alla normativa e, dunque, come migliorame­nto in chiave di legalità, oltre che efficienza, della cultura aziendale. Per altro verso, accanto alla nota carenza di risorse del mondo giudiziari­o, la quale con buona probabilit­à fa anche qui sentire i suoi effetti, pare di potere scorgere una accorta prudenza e una calibrata attenzione da parte della magistratu­ra nel ricorso a uno strumentar­io, come detto, potenzialm­ente pervasivo nella vita dell’impresa e «violento», della violenza tipica del momento punitivo. Il che, nell’epoca della «società del controllo» e dell’impiego propagandi­stico del diritto penale, è davvero molto.

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