IMPRESE, TRA PENALE E SOCIALE
Sono oramai diversi anni che anche in Italia si guarda, da varie angolazioni, all’idea della responsabilità dell’impresa con occhi almeno in parte differenti da quelli per lungo tempo consolidati. Sovviene immediatamente il concetto, che va diffondendosi pure tra le imprese di medie dimensioni, di «responsabilità sociale d’impresa», con il suo portato, per certi versi rivoluzionario, di attenzioni ad aspetti in (almeno apparente) contraddizione con le regole del mercato.
Le istanze, non schiettamente economiche, e neppure giuridiche, che stanno alla base di tale tendenza si iscrivono in un contesto più ampio e variegato (persone, ambiente, onestà degli affari, trasparenza del mercato), dove trovano spazio anche temi morali e sociali che guardano alla necessità di un dialogo serrato tra economia, etica e diritto e dove un ruolo da protagonista è giocato dall’autoregolamentazione. Non si deve peraltro al puro caso, ritengo, che anche sul versante giuridico la novità forse più importante degli ultimi decenni passi per una riforma, davvero epocale, che tocca la responsabilità d’impresa.
Quest’anno arriva infatti alla maggiore età il corpo di norme (il «famigerato» decreto 231) che ha portato il nostro ordinamento, sulla scia di impostazioni anglosassoni, a conoscere una forma di responsabilità, che per brevità definiremo penale, anche in capo alle imprese. Il diritto penale evoca, nell’immaginario collettivo, la «pena per eccellenza», il carcere.
È(stato) tradizionalmente costruito e plasmato secondo un paradigma antropocentrico. Come conciliare, dunque, questo modello di responsabilità personale, con la carica di umanità del rimprovero nei confronti di un «atto colpevole», con l’idea di una sanzione a carico di un ente che non è dotato di corporeità? Il tema è assai complesso e variegato e ruota, ancora una volta non per caso, attorno all’idea di autoregolamentazione nonché, correlativamente, di una responsabilità per la colpa dell’organizzazione. Sono le regole, le modalità di funzionamento e azione che l’impresa si dà (o non si dà!), a costituire una sorta di anticorpi interni nei confronti di comportamenti scorretti e illegali, a prevenire forme, potenzialmente assai gravi, di responsabilità ma, prima ancora, a incarnare l’occasione di rinnovamento profondo della governance e di abbandono di uno «stile di gestione» non adeguato o riflesso di una politica d’impresa anacronistica (o peggio). Una rivoluzione copernicana, dall’applicazione potenzialmente dirompente. Sullo sfondo, delicate questioni di rapporto tra etica individuale ed etica collettiva, tra diritto, economia ed etica degli affari. Ecco, allora, che assume particolare interesse, specialmente per il mondo delle imprese, cercare di cogliere il dispiegarsi concreto della normativa; in altre parole come essa viene approcciata e «gestita» nei Tribunali, in particolare sul versante della valutazione dell’autoregolamentazione di cui si diceva poco fa. L’osservazione sull’applicazione di questa disciplina nel Triveneto, grazie a un Osservatorio istituito presso l’Università degli Studi di Padova, mostra, sotto il profilo quantitativo, un andamento tendenzialmente disomogeneo, seppure il numero dei procedimenti per anno risulti generalmente in calo nel corso del tempo. In particolare, si è passati dai 93 procedimenti del 2012 ai 61 nel 2016, ove peraltro negli anni intermedi il numero è prima sceso nel 2013 per poi risalire nel 2014; la Regione nella quale si è rilevato il maggiore numero di procedimenti è passata dall’essere il Veneto nel 2012 al Friuli Venezia Giulia nel 2016. Sul versante per così dire tipologico, a fronte della costante tendenza del legislatore ad ampliare i reati la cui commissione origina la responsabilità dell’impresa, i reati oggetto del maggior numero di procedimenti sono senz’altro quelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, seguiti, pur a distanza, dai reati ambientali e dai reati contro la Pubblica Amministrazione; esigui, invece, i procedimenti instaurati per altri reati quali ricettazione e riciclaggio, reati societari, e altro – per dare un’idea, 151 sono stati i procedimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, 31 per reati ambientali e 16 per reati contro la Pubblica Amministrazione. Il dato potrebbe per un verso leggersi come esito di un più diffuso adeguamento delle imprese alla normativa e, dunque, come miglioramento in chiave di legalità, oltre che efficienza, della cultura aziendale. Per altro verso, accanto alla nota carenza di risorse del mondo giudiziario, la quale con buona probabilità fa anche qui sentire i suoi effetti, pare di potere scorgere una accorta prudenza e una calibrata attenzione da parte della magistratura nel ricorso a uno strumentario, come detto, potenzialmente pervasivo nella vita dell’impresa e «violento», della violenza tipica del momento punitivo. Il che, nell’epoca della «società del controllo» e dell’impiego propagandistico del diritto penale, è davvero molto.