Società senza presidi
Così facendo avanza un modello ambiguo, di piattaforme web private con pochissimi votanti, di oligarchie ristrette che prendono tutte le decisioni, di comunicazioni controllate e di sistematici confronti elusi, di attacchi espliciti all’informazione la cui funzione di controllo non è accettata. Difficile anche dribblare una contraddizione di fondo: quando si costruisce una proposta politica, che sedimenta nel tempo e che acquista il consenso necessario per governare si finisce con l’esprimere un’élite. E questo vale anche per la Lega di ogni latitudine. Semmai il problema è costituire un’élite che operi in connessione con più strati sociali/popolari.
La Federazione delle cooperative offre un esempio diverso — per collocazione e natura — ma simile. Marina Mattarei ha conquistato il movimento con una lotta di opposizione imperniata sui principi di partecipazione, trasparenza, sobrietà, recupero dei valori, autonomia. Era un messaggio che elaborava un disagio reale per l’opacità e le liturgie proprie di una certa cooperazione e anche per la contiguità con la politica. Tale domanda di partecipazione si è tradotta finora in un iper-verticismo che ha aperto fronti critici sul lato della rappresentanza — le cooperative sociali escluse dalla vicepresidenza —, rivendicato emolumenti più ricchi, manifestato una vicinanza con il governo a matrice leghista che va oltre il pur necessario confronto istituzionale. Il potenziale di Mattarei sembra essersi esaurito prima di cominciare e la partecipazione è rimasta un’evocazione.
La partecipazione ha un suo ancoraggio forte nella Costituzione. Nell’articolo 3, dopo la parte dedicata all’uguaglianza dei cittadini, si afferma che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La funzione delle organizzazioni di rappresentanza era ed è questa: costruire una partecipazione mediata che coinvolga il numero più elevato di cittadini alla definizione della vita comune. L’alternativa, finora, al netto della revisione referendaria, è stato il rapporto leader-masse che oggi riesplode per la disintermediazione della società. Ma il rischio è evidente.
Anche l’elettore medio o quello rifluito nell’astensione presenta da tempo un’istanza di partecipazione alla politica o nei consessi associativi. Ma appare tante volte come un riflesso retorico più che una veritiera esigenza, mentre le generazioni più giovani vivono in sospensione tra esclusione e apatia. La politica, come sguardo collettivo sul presente, è scomparsa persino dai testi dei tanti giovani trapper che si fanno largo dalle periferie sulle note di testi intimisti e neutrali. Forse la partecipazione ha cambiato forma e prospettiva.
Non è semplice invertire questa tendenza che si è sedimentata in diversi anni. E uscire dalle logiche che ci vedono ormai portatori di interessi particolari. Un ultimo esempio. Il congresso di Confindustria del Trentino ha confermato la designazione di Fausto Manzana alla presidenza, un altro outsider che ha sparigliato le carte. La sua relazione d’insediamento ha riaffermato antiche esigenze delle imprese (sburocratizzazione, infrastrutture, raccordo scuola-lavoro), rassicurando sulla linea della continuità, ma ha detto poco sulla visione di Trentino che si desidera. Per misurare realmente la portata della sua presidenza dovremo quindi attendere i prossimi mesi. Partecipare alla vita comune è però anche questo: offrire una visione sociale e d’insieme che travalichi le priorità di categoria. Oggi è più necessario che in passato per ricostruire un senso e un approdo alla parola partecipazione.