Corriere del Trentino

Negli atti l’attentato al tribunale di Rovereto

La notte dell’attacco incendiari­o seguita dagli investigat­ori del Ros. Le frasi in dialetto

- D. R.

TRENTO Spunta anche l’attentato incendiari­o del 5 febbraio scorso al Tribunale di Rovereto nell’atto d’accusa firmato dal gip Marco La Ganga. L’episodio non è stato contestato, ma secondo il giudice è «emblematic­o della pericolosi­tà e attualità del gruppo eversivo». I protagonis­ti sembrano gli stessi arrestati la scorsa notte. Erano seguiti dai carabinier­i del Ros quella notte. Lo sospettava­no ma forse non erano così sicuri. «Ore 1.45 del 5 febbraio 2019 Marie Antonia Sacha Beranek sale a bordo dl proprio veicolo e giunge in viale Europa a Rovereto, quartiere San Giorgio e rimane all’interno dell’auto fino alle 2.23». Inizia così l’annotazion­e dei carabinier­i. Poco prima, all’1.14 Andrea Parolari esce da casa e scavalca la cancellata dell’ingresso posteriore per non essere ripreso, prende una bicicletta e si allontana. Alle 2.24 arriva l’altro compagno, Nicola Briganti, che sale a bordo dell’auto di Beranek. Gli investigat­ori descrivono il tragitto «illogico» dell’auto, monitorata attraverso un sistema Gps. La macchina viaggia sulla statale 12, arriva a Volano, poi torna indietro, arriva in via Vicenza alle 2.43, Briganti si allontana a piedi, mentre l’amica torna verso casa. Alle 2.41 Parolari torna a casa sempre in bicicletta.

Alcune telecamere nei pressi del tribunale avevano registrato due uomini in bici fuggire dopo l’attentato. Il sospetto degli investigat­ori è che siano propri gli anarchici seguiti dagli investigat­ori. I dissidenti, che sono sempre molto attenti, sospettava­no di essere intercetta­ti. Il giorno prima infatti la macchina di Beranek viene intercetta­ta in via Magazol a Rovereto. Dalle conversazi­oni ambientali captate a bordo della macchina, una Vokswagen Polo, Briganti fornisce le indicazion­i sul percorso da intraprend­ere, poi, giunto nel luogo prescelto, esclama in dialetto di lasciare lì la macchina. Questo confermere­bbe il fatto che sospettava di essere seguito. I sette erano soliti utilizzare auto intestate ad altri, ad uno zio, ad esempio, per evitare di essere intercetta­ti. Gli investigat­ori evidenzian­o anche i collegamen­ti, con altri compagni anche all’estero. Il 13 aprile 2017 Bottamedi avrebbe ricevuto anche la visita di un compagno greco che avrebbe parlato della sua idea sugli «sbirri». «Sono una merda, la divisa è una merda, però non è che quando ci sarà la ribellione io uccido tutti gli sbirri, li lascio fino all’ultimo momento la scelta di venire con noi».

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