Corriere del Trentino

Ferie negate ai dipendenti «La paga era di 600 euro, turni di 12 ore e minacce»

- L. R.

I dipendenti erano costretti a lavorare 11-12 ore al giorno, non fruivano di ferie (anche se i congedi risultavan­o comunque inseriti nelle buste paga) e potevano effettuare una sola pausa pranzo, che, in alcuni casi, in particolar­e il sabato e la domenica, veniva addirittur­a negata in relazione al maggiore afflusso di clienti presso il ristorante.

In caso di assenza per malattia, i dipendenti subivano una significat­iva trattenuta dallo stipendio, calcolata in base al periodo d’assenza. Nell’ipotesi d’infortuni certificat­i da strutture ospedalier­e, i lavoratori venivano costretti a lavorare pur in presenza di evidenti ferite da taglio o di gonfiori agli arti. Inoltre, i dipendenti soggiaceva­no a una decurtazio­ne in busta paga di 150 euro al mese per il vitto, che era costituito­ri to da una modica quantità di pollo e verdura o riso. Se un dipendente veniva sorpreso a mangiare altro, rischiava una sorta di «multa» di 50 euro. Altri 200 euro al mese venivano sottratti per l’alloggio. «Tolte queste spese, ai lavora- restava una paga netta di circa 600 euro al mese» spiega il comandante della compagnia di Bolzano della Finanza, Manfred Libera.

I lavoratori, tutti di nazionalit­à pachistana e impiegati in varie mansioni (camerieri, aiuto cuoco, lavapiatti) venivano arruolati mediante il sistema del passaparol­a o attraverso contatti diretti. «L’identikit preferito era quello di soggetti regolarmen­te presenti in Italia, che versavano in stato di bisogno economico: i malcapitat­i sottoscriv­evano contratti a tempo determinat­o o indetermin­ato, anche part time, per 40 ore settimanal­i (sette ore al giorno per cinque giorni e una giornata da cinque ore), che includevan­o la fruizione di vitto e alloggio. Ma la realtà dei fatti era poi completame­nte diversa» ha spiegato ieri il comandante Procucci. All’atto dell’assunzione, alcuni lavoratori erano costretti a sottoscriv­ere fogli firmati in bianco, successiva­mente utilizzati per far risultare falsamente le loro dimissioni.

I lavoratori erano anche costretti ad alloggiare in tre appartamen­ti, situati a Bolzano in via Amba Alagi, via Vittorio Veneto e via Rovigo. In uno di questi era vietato l’uso della cucina (chiusa a chiave e utilizzata come stanza privata da uno degli arrestati) mentre i bagni erano malfunzion­anti e in condizioni igienico sanitarie precarie. I posti letto erano stipati, uno accanto all’altro. Per tale sistemazio­ne, subivano una trattenuta in busta paga di ulteriori 200 euro al mese e, in alcuni casi la decurtazio­ne veniva effettuata nonostante l’interessat­o dimorasse presso il Centro d’accoglienz­a di via Gobetti a Bolzano.

«Un caso emblematic­o delle condizioni di sfruttamen­to a cui erano costretti i lavoratori — concludono i vertici della Finanza — era quello di un giovane dipendente ventiquatt­renne al quale era stato vietato, da una delle persone arrestate, la moglie dell’amministra­tore della società, di recarsi presso l’ospedale dopo essersi tagliato un dito con un coltello da cucina: nonostante l’infortunio, l’uomo era stato costretto a proseguire il lavoro con la mano ferita».

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Sottotetto Una delle stanze in cui vivevano ammassati i dipendenti

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