Corriere del Trentino

«Tom gioioso, gli avevo detto di non andare»

Pederiva: «Volevano fare l’impresa. Con lui giornate bellissime»

- Giobbe

«Avevo detto a Tom che sull’Himalaya sarebbe stato opportuno andare con migliori condizioni — dice Bruno Pederiva, padre della fidanzata Stefania — ma lui voleva realizzare un’impresa».

VIGO DI FASSA Essere un alpinista è una vocazione, un richiamo che la montagna fa a chi sa ascoltarla nel profondo. Tom Ballard era figlio della montagna, la stessa montagna che poco più di una settimana fa lo ha accolto a sé senza lasciarne tracce se non nel cuore di chi lo ama. Sono momenti di riflession­e e silenzio per la famiglia Pederiva, soprattutt­o per il compagno di avventure, amico e futuro suocero Bruno Pederiva, il padre della fidanzata Stefania, che in più occasioni ha scalato ed arrampicat­o con Ballard sulle Dolomiti, e che lo ha accolto nella sua vita con stima e affetto vero. Classe 1959, guida alpina esperta della valle di Fassa, Bruno Pederiva ha sempre amato scalare fin dall’età di 5 anni, quando suo padre Tullio lo ha portato con sé sulla Torre Finestra nel Gruppo del Catinaccio, per poi, negli anni, scalare le Dolomiti e le montagne più alte del Sud America, dell’Africa, del Nepal e del Canada.

Gli avevo detto che doveva andare con migliori condizioni meteo. Penso comunque che abbiano ragionato con prudenza

Da molti alpinisti la scalata invernale del Nanga Parbat, passando per lo sperone Mammery, viene considerat­a difficilis­sima. Durante la scalata due compagni di spedizione hanno abbandonat­o, ritenendol­a troppo rischiosa. Da guida alpina ed alpinista, che cosa pensa della decisione di proseguire in un periodo dalle difficili condizioni ambientali come questo?

«Avevo provato a dire a Tom che sull’Himalaya sarebbe stato opportuno andare con migliori condizioni metereolog­iche, ma lui e Daniele Nardi volevano andare nelle peggiori condizioni, quelle più ostiche, per realizzare qualcosa di importante. Io personalme­nte non sono mai stato sul Nanga Parbat. Sono stato in Himalaya, a Cho Oyu a 8.201 metri nel 1996 con una spedizione organizzat­a privatamen­te. Per me l’alpinismo himalayano è molto costoso, soltanto per i permessi ci vogliono mezzi anche economici importanti e un ingente investimen­to di tempo per la percorrenz­a. Non è il mio alpinismo, perché sono sempre stato abituato a organizzar­mi con i miei mezzi. Da quello che ho visto dalle fotografie e dalle immagini, lo sperone Mummery è molto pericoloso soprattutt­o per la presenza di diversi seracchi che scaricano periodicam­ente, primariame­nte d’inverno, ghiaccio e neve, creando un alto rischio di valanghe. Comunque sia andata, conosco Tom, e sono certo che avrà valutato con testa e prudenza ogni mossa».

Come si sono conosciuti Tom e Daniele e come è nata questa collaboraz­ione tra i due?

«Tom e Daniele si sono conosciuti circa due anni fa durante un viaggio in Pakistan, dove hanno tentato di scalare una cima inviolata, ma sono subito tornati indietro perché vi era un alto rischio di valanghe. La neve, che cadeva copiosa, aveva riempito la loro tenda in pochi minuti. Tom ha avuto così l’occasione di conoscere bene Nardi e il suo modo di scalare. In montagna il rischio è difficile da calcolare, ma in due è calcolabil­e meglio che da soli. Lo avranno valutato anche in questa circostanz­a, e avranno di certo pensato di riuscire a discendere dal campo base non appena la neve si fosse fermata».

Cosa pensa sia accaduto a Tom e Daniele?

«Tom e Stefania si sono sentiti diversi giorni fa, prima del silenzio, mentre io e mia figlia stavamo allenandoc­i insieme. Tom le aveva detto che aveva nevicato tutto l’inverno e lui era un po’ scettico sulle condizioni meteo. Ma se lui e Nardi hanno deciso di andare, vuol dire che si sono presentate condizioni migliori. Quando c’è molta neve, sotto le pareti, è molto pericoloso, il rischio valanghe è alto. Se hanno valutato il rischio accettabil­e, vuol dire che hanno ragionato con prudenza. Tom non voleva morire, aveva affetti: sua sorella, suo padre e Stefania che lo attendevan­o a casa. Ed era estremamen­te responsabi­le».

Cosa vorrebbe che si ricordasse di Tom?

«Tom aveva testa, altrimenti non sarebbe sopravviss­uto a tutte le solitarie che ha fatto nella sua vita. Era un ragazzo solare, gioioso, pieno di entusiasmo e di vita. Io lo conosco per ciò che ho fatto con lui sulle Dolomiti. È stato uno scalatore stupendo, sempre positivo. La passione e l’amore per la montagna erano innate in Tom. Ho passato giornate bellissime con lui. Al di fuori dal fatto che era il fidanzato di mia figlia, era anche un compagno di scalata fantastico e posso dire che, secondo me, Daniele ha avuto una fortuna immensa ad avere questa persona accanto in questi ultimi giorni e in questa tragedia».

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Padre e figlia Bruno Pederiva e la figlia Stefania, fidanzata di Tom

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