Ricambio generazionale, no della Consulta
Accolto il ricorso di Roma. Ma lo spiraglio è la contrattazione collettiva
La Consulta stoppa il ricambio generazionale inserito dalla Provincia nella legge di stabilità del 2018 e contestato da Roma. «L’articolo — è la sentenza — è incostituzionale».
TRENTO Sulla sperimentazione pensata dalla Provincia per favorire il ricambio generazionale la Corte costituzionale dà ragione a Roma. E, accogliendo il ricorso presentato a marzo dello scorso anno dal presidente del consiglio dei ministri, giudica «illegittimo» l’articolo 17 della legge di stabilità del 2018 (firmata dall’ex governatore Ugo Rossi), che prevedeva appunto degli «interventi per la riduzione dell’età media del personale provinciale per l’assunzione di giovani». Lasciando però uno spiraglio, che guarda alla contrattazione collettiva.
La sentenza della Consulta è stata pubblicata ieri. E, nelle cinque pagine, ripercorre passaggi e posizioni. In sostanza, l’articolo contestato da Roma un anno fa prevedeva l’introduzione di una sperimentazione, fino al 31 dicembre 2020, di «misure volte a incentivare l’esodo del personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato» intenzionato a lasciare il servizio «anticipatamente rispetto al termine per il conseguimento del diritto alla pensione». Un intervento pensato per «favorire il ricambio generazionale del proprio organico, di quello degli enti strumentali pubblici, degli enti locali e delle aziende pubbliche di servizio alla persona». Con un incentivo «disposto in misura percentuale della retribuzione lorda annua che sarebbe spettata dalla data di cessazione alla data di maturazione del primo requisito di pensione».
Ma secondo il governo «l’intervento normativo della Provincia—si legge nella sentenza — da un lato contrasta con i principi generali dell’ordinamento giuridico in materia di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, dall’altro, incentivando l’esodo del personale impiegato, è suscettibile di determinare maggiori oneri previdenziali per anticipo di trattamento di fine servizio, non quantificati né aventi copertura, con conseguente aggravio sulla finanza pubblica». La violazione, secondo lo Stato, è all’articolo 81 della Costituzione, ma anche agli articoli 3 e 117.
Diversa l’interpretazione della Provincia, che nella sua memoria difensiva ribadisce «di aver adottato la norma — recita la sentenza — al dichiarato fine di favorire il ricambio generazionale dei propri dipendenti, che oggi supera- no in gran numero i cinquant’anni di età». Non solo: «Secondo la Provincia, la norma impugnata sarebbe esente da vizi di legittimità costituzionale, poiché trattasi di una norma programmatica, che introduce una misura sperimentale per la cui applicazione sono necessari ulteriori at- ti normativi, la cui adozione è subordinata a una rilevazione effettuata settore per settore, per verificare la potenziale adesione dei dipendenti interessati e per valutare la sostenibilità degli oneri finanziari conseguenti». Un gradimento che, secondo le stime fornite dalla Provincia, ha percentuali basse: «Solo l’8% del personale dipendente delle autonomie locali è realmente interessato all’esodo anticipato» (e, finora, nessuno nell’ente pubblico ha di fatto beneficiato dell a sperimentazione). Con un elemento in più: «Dall’applicazione della norma impugnata non deriverà aggravio per la finanza pubblica».
Ma le argomentazioni della Provincia non hanno convinto la Consulta. Che ha giudicato il ricorso fondato «con riferimento all’articolo 117 della Costituzione». Fissando una distinzione fondamentale. «La previsione normativa oggetto di impugnazione che stabilisce, al comma 1, sia pure in maniera programmatica e non autoapplicativa, la possibilità di incentivi all’esodo, andava rimessa alla contrattazione collettiva propria del pubblico impiego privatizzato». In sostanza, è quest’ultima la strada da seguire per eventuali interventi di ricambio generazionale, vista appunto l’illegittimità costituzionale — conclude la sentenza — dell’articolo 17.