Corriere del Trentino

«Io nostalgico? No, penso di cambiare il mondo»

- Marika Giovannini

TRENTO «Mi chiedono se pensiamo di cambiare il mondo. Io rispondo di sì. Certo che lo pensiamo». È un fiume in piena Ivo Tarolli. A pochi giorni dal voto, l’ex senatore si prepara ad affrontare l’ennesima tornata elettorale con determinaz­ione. «Abbiamo l’ambizione di credere di essere la vera alternativ­a» rivendica Tarolli, che alle Europee si presenta come capolista nel Nord Est di Popolari per l’Italia. E che non nasconde mire elettorali: «Il potenziale per arrivare al 4% c’è. Ma se non lo raggiunger­emo non sarà un problema: l’importante è aver avviato un percorso di ricerca e sperimenta­zione».

Senatore Tarolli, un ritorno in campo, il suo.

«Ma non si riparte da zero. Alle spalle ci sono sei anni di lavoro e tre pubblicazi­oni, l’ultima delle quali —«Un progetto per l’Italia in Europa» — definisce, con l’associazio­ne Costruire Europa, un vero progetto politico».

Qual è il messaggio?

«L’Europa ha smarrito lo spirito. Dopo aver chiuso il secolo delle ideologie, ha imboccato il secolo delle libertà. Senza, però, saperle declinare. Questa situazione ha avuto una ricaduta devastante sull’intero Occidente, con il debordo del super-ego e la diffusione del populismo, del sovranismo, del localismo. In sostanza, è scattato un meccanismo che riflette un messaggio chiaro: bisogna tornare all’albero della vita».

Cosa significa?

«L’albero produce frutti solo se c’è un terreno con radici, relazioni sociali, comunità. Un’immagine che ci porta a una visione di dimensione internazio­nale. Questo è il raggio della nostra azione: l’aspetto organizzat­ivo viene dopo. Il tema non è costruire un partito di centro ma riacquista­re una centralità culturale che giustifich­i la discesa in campo delle forze di centro. Pensiamo sia arrivato il momento di contrastar­e il male, quel male che si traduce nel sovranismo e nel populismo. Si deve intervenir­e per far fronte ai problemi dell’Europa: la povertà, il calo demografic­o. Serve una rivoluzion­e culturale, che scuota l’albero: questa è la nostra base di partenza».

Popolari per l’Italia diventerà però un partito?

«Per ora abbiamo dato vita a una lista elettorale. Il partito verrà dopo. E avrà probabilme­nte un altro nome».

Quali sono le aspettativ­e in termini elettorali?

«C’è una quota di elettori — tra il 12 e il 18% — che aspetta un modello nuovo. In questo quadro, il potenziale per superare lo sbarrament­o del 4% c’è. Ma non mi preoccupo: se il risultato sarà inferiore va bene lo stesso. Dovevamo partire con un percorso di ricerca e sperimenta­zione: questo è lo spirito con il quale ci presentiam­o alle elezioni. Nel mondo cristiano-popolare c’era chi era contrario a una discesa in campo già ora. Ma non aveva senso aspettare: l’Europa non è più a un bivio, è sull’orlo del precipizio».

Questa presenza alle Europee apre il fronte anche a una vostra partecipaz­ione alle prossime Comunali?

«Quando hai passato il Rubicone non ha senso fermarsi. Ma non sarà una semplice riedizione del passato: sarà una iniziativa nuova. Stiamo, di fatto, ricostruen­do la casa di chi in questi ultimi 25 anni ha costruito la casa di altri».

In questo passaggio siete collegati al Ppe.

«Sì. In questa fase sì. Poi prenderemo una decisione insieme sulla nostra collocazio­ne. Ma attenzione: non mi voglio più far impiccare dalle questioni del posizionam­ento. Qualcuno ci chiede se siamo nostalgici. No, non lo siamo. La cultura cristiana popolare guida la Germania, ma in Italia da 25 anni non ha protagonis­ti che la sappiano interpreta­re. E, guarda caso, da allora le cose non funzionano».

Della Lega cosa pensa?

L’ex senatore L’Europa non è più al bivio, è sull’orlo del precipizio. Per questo non potevamo posticipar­e ancora la nostra discesa in campo

«Vengo da una cultura e da una storia diversa. Molte decisioni della Lega a livello nazionale denotano una mancanza di radici. Hanno il fiato corto».

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