«Io nostalgico? No, penso di cambiare il mondo»
TRENTO «Mi chiedono se pensiamo di cambiare il mondo. Io rispondo di sì. Certo che lo pensiamo». È un fiume in piena Ivo Tarolli. A pochi giorni dal voto, l’ex senatore si prepara ad affrontare l’ennesima tornata elettorale con determinazione. «Abbiamo l’ambizione di credere di essere la vera alternativa» rivendica Tarolli, che alle Europee si presenta come capolista nel Nord Est di Popolari per l’Italia. E che non nasconde mire elettorali: «Il potenziale per arrivare al 4% c’è. Ma se non lo raggiungeremo non sarà un problema: l’importante è aver avviato un percorso di ricerca e sperimentazione».
Senatore Tarolli, un ritorno in campo, il suo.
«Ma non si riparte da zero. Alle spalle ci sono sei anni di lavoro e tre pubblicazioni, l’ultima delle quali —«Un progetto per l’Italia in Europa» — definisce, con l’associazione Costruire Europa, un vero progetto politico».
Qual è il messaggio?
«L’Europa ha smarrito lo spirito. Dopo aver chiuso il secolo delle ideologie, ha imboccato il secolo delle libertà. Senza, però, saperle declinare. Questa situazione ha avuto una ricaduta devastante sull’intero Occidente, con il debordo del super-ego e la diffusione del populismo, del sovranismo, del localismo. In sostanza, è scattato un meccanismo che riflette un messaggio chiaro: bisogna tornare all’albero della vita».
Cosa significa?
«L’albero produce frutti solo se c’è un terreno con radici, relazioni sociali, comunità. Un’immagine che ci porta a una visione di dimensione internazionale. Questo è il raggio della nostra azione: l’aspetto organizzativo viene dopo. Il tema non è costruire un partito di centro ma riacquistare una centralità culturale che giustifichi la discesa in campo delle forze di centro. Pensiamo sia arrivato il momento di contrastare il male, quel male che si traduce nel sovranismo e nel populismo. Si deve intervenire per far fronte ai problemi dell’Europa: la povertà, il calo demografico. Serve una rivoluzione culturale, che scuota l’albero: questa è la nostra base di partenza».
Popolari per l’Italia diventerà però un partito?
«Per ora abbiamo dato vita a una lista elettorale. Il partito verrà dopo. E avrà probabilmente un altro nome».
Quali sono le aspettative in termini elettorali?
«C’è una quota di elettori — tra il 12 e il 18% — che aspetta un modello nuovo. In questo quadro, il potenziale per superare lo sbarramento del 4% c’è. Ma non mi preoccupo: se il risultato sarà inferiore va bene lo stesso. Dovevamo partire con un percorso di ricerca e sperimentazione: questo è lo spirito con il quale ci presentiamo alle elezioni. Nel mondo cristiano-popolare c’era chi era contrario a una discesa in campo già ora. Ma non aveva senso aspettare: l’Europa non è più a un bivio, è sull’orlo del precipizio».
Questa presenza alle Europee apre il fronte anche a una vostra partecipazione alle prossime Comunali?
«Quando hai passato il Rubicone non ha senso fermarsi. Ma non sarà una semplice riedizione del passato: sarà una iniziativa nuova. Stiamo, di fatto, ricostruendo la casa di chi in questi ultimi 25 anni ha costruito la casa di altri».
In questo passaggio siete collegati al Ppe.
«Sì. In questa fase sì. Poi prenderemo una decisione insieme sulla nostra collocazione. Ma attenzione: non mi voglio più far impiccare dalle questioni del posizionamento. Qualcuno ci chiede se siamo nostalgici. No, non lo siamo. La cultura cristiana popolare guida la Germania, ma in Italia da 25 anni non ha protagonisti che la sappiano interpretare. E, guarda caso, da allora le cose non funzionano».
Della Lega cosa pensa?
L’ex senatore L’Europa non è più al bivio, è sull’orlo del precipizio. Per questo non potevamo posticipare ancora la nostra discesa in campo
«Vengo da una cultura e da una storia diversa. Molte decisioni della Lega a livello nazionale denotano una mancanza di radici. Hanno il fiato corto».