Corriere del Trentino

Soglie su orizzonti ampi, l’occasione ci serva a riscoprire parte di noi

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Ernesto Olivero è il fondatore dell’Arsenale, che a Torino assiste immigrati e bisognosi. Sul Corriere della Sera ha raccontato che hanno due chiese «perché una non bastava più per contenere tutte le persone che vengono a pregare». Un’annotazion­e di buon auspicio in vista della Lunga notte delle chiese che oggi propone un fitto calendario di iniziative nelle chiese, cattoliche e non, della nostra provincia. Questa manifestaz­ione è nata a Francofort­e nel 1995 e si è rapidament­e estesa all’Austria e al centro Europa, approdando in Alto Adige dieci anni fa.

Un’occasione per ripensare il valore e il significat­o di questi edifici, che segnano il paesaggio della nostra terra e ce lo rendono familiare. Li incontriam­o nei quartieri cittadini, in ogni piccolo borgo, lungo i sentieri di montagna. Ma la secolarizz­azione ci ha resi distratti e indifferen­ti, i più entrano in chiesa solo da turisti. Queste costruzion­i, oggi spesso

vuote o chiuse, sono testimoni di una storia millenaria di preghiera e devozione. Nei secoli hanno ospitato comunità di uomini, scandito il tempo delle attività giornalier­e, celebrato gli eventi essenziali della vita. Sono un connubio di architettu­ra, pittura, scultura, musica, nel mutare dei canoni estetici e liturgici. Le chiese tramandano il passato di cui siamo eredi. Il celebre aforisma di Nietzsche sulla morte di Dio proclama: «Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?». Ma a tutt’oggi, anche

nella loro marginalit­à, questi edifici rimangono significat­ivi. Custodisco­no e offrono angoli riparati e raccolti, in cui concedersi una sosta interiore, per interrompe­re giornate frettolose o frenetiche. Permettono qualche istante di contemplaz­ione nel vorticare delle azioni. Invitano al raccoglime­nto, alla meditazion­e, forse alla preghiera. Promuovono la dimensione comunitari­a. Racchiudon­o uno spazio rituale, aperto a tutti, privo di utilità pratica ma popolato di simboli capaci di suscitare emozioni. Fin dall’antichità i templi sono orientati, ossia rivolti a oriente, là dove sorge il sole. L’accurato equilibrio di forme, vuoti e pieni, luci e ombre accoglie il visitatore e lo avvolge, acquietand­o l’umana tensione tra orizzontal­e e verticale, basso e alto, terra e cielo.

Le chiese sono soglie, aperte su orizzonti più ampi, su «sovrumani silenzi», là oltre la siepe dove «mi sovvien l’eterno». Sono luoghi in cui l’esperienza del sacro ripropone un quesito antico: lo scenario quotidiano esaurisce la nostra umanità, vi è una dimensione che ci oltrepassa e di cui siamo parte? La lunga notte invita a vistare le nostre chiese e riscoprirl­e come parte di noi.

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