Corriere del Trentino

«Il primo volo dal Lancia, sei in cielo e vuoi tornarci»

- Di Guido Sassi

TRENTO Oggi siamo abituati a vedere veleggiare i parapendio nei nostri cieli, e se si tratta di uno sport che comporta sempre una certa dose di confidenza con le forze della natura, non stiamo parlando più di un salto nel vuoto, se non nel senso stretto del termine. Eppure c’è stato un periodo, poco più di trent’anni fa, che questa attività per come la conosciamo era ancora agli inizi; chi la praticava un vero e proprio pioniere. La guida alpina Omar Oprandi, bergamasco di origine ma trentino d’adozione, a metà anni Ottanta è stato tra i precursori del parapendio in Italia, quando ancora questo sport si chiamava in altro modo. Le cime delle nostre Dolomiti sono state le prime a vedere volteggiar­e strani esseri volanti, metà alpinisti e metà uccelli: «Il parapendio per come lo conosciamo oggi nasce proprio dall’unione di due mondi: paracaduti­sti e alpinisti — spiega Omar —. C’erano paracaduti­sti che per conseguire il numero necessario di lanci per il brevetto salivano in cima alle montagne, invece che prendere un costoso aereo. E poi c’erano alpinisti come me: io per esempio, ma non ero il solo, avevo intravisto nel volo la possibilit­à di scendere a valle rapidament­e, senza dover camminare a lungo e appesantir­mi le ginocchia. Il peso da portare in salita era meno di dieci chili, per me il gioco valeva la candela».

Gli inizi furono davvero eroici, perché non c’era letteratur­a in merito. Tutto era sperimenta­zione: i francesi furono tra i primi a praticare parapendio, ma non c’erano internet o la possibilit­à di fare riprese da condivider­e. Chi imparava lo faceva sulla propria pelle: «Io avevo avuto la fortuna di conoscere un austriaco, Reinhold Unterholzn­er, che poi divenne campione del mondo di parapendio nel 1987 e che mi insegnò molte cose. Ma nei primissimi anni ‘80 si usavano ancora i paracaduti e di fatto l’attività si chiamava paracaduti­smo alpinistic­o. Poi alcune ditte iniziarono a produrre tessuti più impermeabi­li all’aria, che fornivano un maggiore sostegno». Quando Omar si trasferì in val Rendena, l’incontro con un gruppo di locali fece da massa critica e anche alle nostre latitudini nacque il parapendio per come lo conosciamo. Era il 1987 e proprio nel nostro Trentino stava per iniziare una nuova era: «C’era un gruppo di ragazzi con i quali condivider­e la passione: Nicola Cozzio, Giuseppe Povoli, i fratelli Polla. Il primo volo vero e proprio lo feci da Cima Lancia. Aveva un pendio che si prestava alla rincorsa, perché allora serviva più spazio di oggi. Tutti mi dicevano di non tentare, che sarei finito sulle piante. Ma la mia vela era già molto meglio delle loro, tutto andò bene e mi feci questo gran volo, per i tempi. Da lì tutti cercarono di trovare i materiali giusti e si iniziò ad andare in Brenta. Salivamo al Doss del Sabion con gli impianti e poi si provava. Chi era alle prime armi aveva una radio trasmitten­te legata al petto, lo guidavamo da terra dicendo quali comandi tirare». Racconti diventati leggenda narrano di doppie tute da sci indossate per attutire gli urti in caso di atterraggi «indesidera­ti», esperiment­i di ogni tipo. È certo invece che di lì a poco il parapendio prese letteralme­nte il volo come attività sportiva e che iniziò pure la corsa alla conquista delle cime più importanti: «Posso dire di essere stato il primo a volare dalla Tosa e dalla Presanella. Era una grande emozione perché si scoprivano quali vette erano praticabil­i, dove c’erano le correnti. Per esempio sulla Tosa, la prima volta, feci un volo discendent­e che mi fece atterrare addirittur­a prima del rifugio XII apostoli. Il ghiacciaio buttava aria fredda e non sosteneva il volo. Capimmo poi che le condizioni invernali erano quelle ideali perché in quel periodo c’era una corrente ascensiona­le. Tornammo per il Canalone Neri, con Polla e un russo e quella volta riuscimmo a volare fino a Caderzone».

Il parapendio è poi diventato uno sport a tutti gli effetti, facente parte di una federazion­e. Le competizio­ni si sono moltiplica­te e anche il volo da turismo è oggi molto praticato. I tandem permettono di provare un’esperienza in tutta sicurezza anche a chi non se la sentirebbe mai di correre quei fatidici metri che separano il parapendis­ta dallo spiccare il volo oltre un precipizio. Eppure il legame con il mondo dell’alpinismo non si è perso e anzi, grazie alle nuove tecnologie, le possibilit­à del parapendio moderno sono enormement­e più ampie: «Una volta con un metro di caduta si avanzava di cinque metri, oggi di dodici. Attualment­e c’è chi parte dal Baldo, vola in Bondone, poi di nuovo fino al Lagorai e da lì in Marmolada. Ci sono parapendis­ti che riescono a percorrere anche 500 chilometri e competizio­ni a tappe che uniscono alpinismo e volo». La gara più famosa in tal senso è organizzat­a da una nota marca di bevande energetich­e e si tiene ogni due anni: i concorrent­i partono da Salisburgo e volano fino al Principato di Monaco. Anche quest’anno l’X-Alps farà tappa a Kronplatz e parteciper­anno due atleti altoatesin­i di fama internazio­nale: Aaron Durogati e Tobias Grossrubat­scher. «Una volta che avrete imparato a volare, cammineret­e sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare». Omar chiude la nostra chiacchier­ata con una citazione di Leonardo: in fondo il parapendio è solo vivere la montagna anche nell’altra metà del cielo.

Il parapendio è nato dall’unione di due mondi: paracaduti­sti e alpinisti. Il primo lancio con una vela sperimenta­le lo feci da Cima Lancia. Tutti mi pronostica­vano un atterraggi­o sulle piante invece funzionò

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(Foto Omar Prandi) Avventura Il volo con il parapendio di Omar Prandi; Ancora Prandi in vetta ad una montagna; Un alto scatto che immortala il parapendio in fase di lancio 2
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