Corriere del Trentino

La rieducazio­ne in cucina: detenuti trentini e veronesi si sfidano ai fornelli

L’iniziativa ieri a Verona. Fedrizzi: così si costruisce uguaglianz­a

- Di Chiara Marsilli

VERONA Formazione, profession­e, sfida, riscatto. Sostenere l’istruzione alberghier­a in carcere per dare futuro ai detenuti. Nasce da qui la «Sfida ai fornelli 2.0» che ieri ha visto fronteggia­rsi alcuni detenuti del carcere di Spini di Gardolo e di Montorio a Verona impegnati in un percorso di formazione profession­ale. Un’amichevole gara di cucina ospitata nel veronese che ha visto vincere, di poco, la squadra di casa, in una gara di tutto rispetto: una settantina di coperti, una giuria che contava anche lo chef di Cuochi d’Italia Andrea Cesaro e tre ore per preparare un menu di quattro portate. L’iniziativa, ideata dalla Camera penale di Verona, è stata immediatam­ente accolta e fatta propria dalla Camera penale di Trento grazie all’interessam­ento del presidente, l’avvocato Filippo Fedrizzi, e dall’avvocatess­a Sara Morolli. Un progetto ambizioso e unico in Italia che prende le mosse da una semplice consapevol­ezza: permettere ai detenuti di apprendere un mestiere durante il periodo di pena aiuta a dare un senso alle giornate, introduce al mondo del lavoro rendendo meno traumatizz­ante il reinserime­nto nella società civile e riduce di molto il rischio di recidive.

Della squadra trentina l’unico che frequenta l’istituto alberghier­o in carcere è Salvatore, 50enne di «Napoli città», già iscritto allo stesso corso di studi da ragazzo. Insieme a lui, a seguire le indicazion­i dello chef Giuliano Pilati, altri tre detenuti senza formazione specifica ma con un certo gusto per la cucina. Mohammed ha 27 anni, viene dalla Tunisia, sogna dei piatti «fusion» tra la sua terra d’origine e quella italiana ma il ramadan lo costringe a non assaggiare nulla di quello che prepara; Marian, rumeno di 32 anni, aspetta con ansia il fine pena per tornare a casa dai suoi figli, due gemelli di nove anni, dalla moglie e dal suo giardino; Pietro ha 64 anni, è nato in provincia di Mantova e legge il mondo attraverso un filtro di sottile ironia. Per tutti il fine pena è vicino, dai due ai nove mesi. Per tutti la grande incognita è quello che succederà dopo e la difficoltà di tornare a vivere ed agire al di fuori del contesto iper regolament­ato del carcere. Incognita che può essere placata da una formazione ad hoc. A Montorio c’è una sorpresa: della squadra veronese fa parte anche Malik, uno dei detenuti trentini allievi dell’alberghier­o che in seguito alla rivolta di dicembre è stato trasferito a Verona. «Quando abbiamo saputo del trasferime­nto ci siamo attivati perché Malik potesse essere inserito nel programma di formazione del carcere di Verona. In questo modo può continuare a studiare e prendere il diploma — spiega Gianlorenz­o Imbriachi, docente di Scienze alimentari a Rovereto e parte del corpo insegnanti di Spini da 5 anni — Insegnare in carcere è un’esperienza che consiglier­ei a tutti perché aiuta a mettere le cose in una prospettiv­a diversa, ma molti si fanno spaventare dal pregiudizi­o». Proprio il pregiudizi­o è l’ostacolo che questo progetto vuole abbattere. «Al di là del risultato — spiega Filippo Fedrizzi — iniziative di questo tipo permettono ai detenuti di essere trattati alla pari, non per la loro storia ma come individui. Vogliamo continuare su questa strada coinvolgen­do sempre più imprendito­ri locali come abbiamo fatto con Segata, che ci ha fornito i 10 chili di carne salada necessari per preparare l’antipasto della squadra trentina». Pensiero condiviso anche da Domenico Luigi Bongiovann­i, direttore dell’istituto alberghier­o di Verona Angelo Berti: «Il traguardo massimo è nobilitare il lavoro e attraverso esso permettere il reinserime­nto definitivo nella società dell’ex detenuto, realizzand­o cioè la finalità più alta: una volta scontata la pena ed estinto il debito, ricomincia­re in condizioni di opportunit­à uguali».

A Verona la casa circondari­ale ferve di vita attiva. Dei 600 detenuti, circa un centinaio sono coinvolti nei diversi progetti lavorativi. Quelle che saltano maggiormen­te agli occhi sono le attività che coinvolgon­o gli animali e uniscono la formazione profession­ale a una sorta di pet therapy. Il canile, convenzion­ato con il comune di Verona, ospita alcuni randagi, può essere utilizzato come pensione a pagamento da chi ha bisogno di affidare il proprio animale domestico durante le ferie e i detenuti inseriti nel progetto ricevono un diploma utile per trovare un impiego. Ma non solo. Dentro le mura della casa circondari­ale cavalli, pecore e agnelli brucano placidi sotto lo sguardo attento di alcuni detenuti impegnati nella cura dell’orto destinato all’autoproduz­ione. Il futuro della detenzione passa anche da qui e dalla gara di ritorno, in programma a novembre a Trento.

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In prima fila Salvatore, Pietro, Mohammed e Marian con gli avvocati e le formatrici Apas
In gioco In prima fila Salvatore, Pietro, Mohammed e Marian con gli avvocati e le formatrici Apas

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