Corriere del Trentino

Martini, settant’anni sulle vette «Avrei voluto fare anche di più»

- Sassi

«Sono arrivato a 70 anni e sicurament­e come alpinista avrei voluto fare anche di più rispetto a quanto sono riuscito a raggiunger­e». Parola di Sergio Martini.

TRENTO «Sono arrivato a 70 anni e sicurament­e come alpinista avrei voluto fare anche di più rispetto a quanto sono riuscito a raggiunger­e. Eppure una vita non basterebbe, perché il desiderio cresce all’infinito mentre vedi cose nuove, ma le possibilit­à che la vita ti concede sono invece per forza limitate». La produzione alpinistic­a di Sergio Martini è stata sicurament­e molto varia, e rispecchia un desiderio innato di esplorazio­ne in questo roveretano innamorato della montagna: «Negli anni ‘60, ancora giovanissi­mo, esploravo i boschi intorno al paese. C’era quella voglia di conoscere luoghi che apparivano misteriosi e nascosti, è nato tutto lì. Poi ci fu la prima vera scalata in Dolomiti, in un campeggio con la parrocchia. Fu la curiosità a portarmi sulla cima della prima torre del Sella. Negli anni che seguirono riuscii a trovare la scalata che più mi dava soddisfazi­one nelle vie ripetute in inverno, come la Stenico-Navasa al Campanil Basso, o il diedro Aste al Crozzon di Brenta. In parte avevo voglia di cercare condizioni ambientali difficili, perché la neve al tempo copriva tutto: strade, sentieri, tracce. Il Brenta in inverno diventava davvero incontamin­ato e in un certo senso selvaggio».

Certe possibilit­à oggi non ci sono più: gli inverni sono cambiati e cade molta meno neve. I cambiament­i climatici si avvertono anche nel panorama che cambia alle alte quote: «Io ho avuto la fortuna di girare in quei posti in un’altra epoca, ma i giovani d’oggi non possono nemmeno immaginare quanto fosse diverso». Tramandare la memoria è quindi sempre più importante, perché il mondo cambia sotto i nostri occhi. Solo nel dialogo tra le generazion­i si può trasmetter­e quello che altrimenti può apparire come lontano, al limite dell’incredibil­e. La bellezza del Brenta rimane per fortuna immutata in moltissimi aspetti che continuano ad affascinar­e Martini: «È uno dei gruppi dolomitici più belli per la sua complessit­à, articolato in valli, vallette, luoghi nascosti. Ci sono accessi riservati ai pochi che vogliono fare fatica, e itinerari molto più frequentat­i, ma ugualmente incantevol­i».

Martini è come il suo alpinismo: rispettoso del sé e degli altri, riservato anche nella grandezza. Sergio non bacchetta i cultori dell’arrampicat­a sportiva: «Sono cambiate le montagne e siamo cambiati anche noi. È distorta l’idea stessa di collegare arrampicat­a sportiva e alpinismo, sono due cose diverse. Va bene che rimanga in falesia chi ama l’arrampicat­a sportiva, fare l’alpinista non deve diventare un obbligo morale. In generale di spazi in montagna ce ne sono per tutti. Prendiamo la “ferratina” del Colodri: chiaro che c’è un interesse commercial­e-turistico di fondo nella sua promozione e un aumento stratosfer­ico della frequentaz­ione. Eppure, se vedo le famigliole e penso a come si divertono i bambini, se penso che un giorno potranno essersi appassiona­ti alla montagna proprio per quella ferrata, come faccio a essere contrario?».

La grande passione di Martini incontrò le altissime quote a metà anni ‘70. Prima il Perù e poi il Dhaulagiri nel 1976, con una spedizione delle Aquile di San Martino. Sergio era lo «straniero» del gruppo. Non raggiunse la cima «ma pur senza il successo personale ero consapevol­e di avere contribuit­o a quel risultato. L’apertura di alcune nuove vie in Marmolada e in Civetta, ma anche le scalate in Groenlandi­a e Kashmir ebbero la precedenza negli anni che seguirono. Così non tornai agli Ottomila prima del 1982». In quell’anno Martini conquistò la cima del K2 per la via dei Giapponesi, un difficile itinerario sul versante nord. Poi fu la volta dell’Everest e di tutti i 14 Ottomila. Oggi Martini è noto al grande pubblico soprattutt­o per essere stato il terzo italiano di sempre ad avere toccato la vetta di tutte le più alte montagne del Pianeta, eppure la sua storia non è quella di un alpinismo alla cieca rincorsa di un singolo obiettivo. Così, dopo la scomparsa di Nardi e Ballard sul Nanga Parbat nello scorso inverno risulta impossibil­e non domandare a Sergio — che conosceva Daniele —, il suo parere sulla vicenda. «Non voglio assolutame­nte giudicare il loro operato, tutto quello che posso dire è che la cosa mi ha fatto molto riflettere. Anche in una recente arrampicat­a: dentro di me è nato un grosso dispiacere mentre scalavo e osservavo tutta la bellezza che mi circondava. Pensavo a quei due ragazzi che non ne potranno più farlo e che invece avevano l’età per goderne a lungo».

La visione dell’alpinismo odierno da parte di Martini pone l’accento sulle relazioni pericolose con i mezzi di comunicazi­one: «Le grandi imprese esistono anche oggi, non solo sull’Himalaya. Eppure non interessan­o ai media: molti alpinisti rimangono coinvolti in questa esigenza di comunicare per gli sponsor che non necessaria­mente riflette in maniera fedele un ideale alpinistic­o o una condizione personale».

Ed è qui che la sintesi del pensiero di Martini ci regala uno spunto prezioso, tramite il ricordo di una sua conversazi­one con Bonatti: «Walter aveva lasciato l’alpinismo estremo a 35 anni e mi disse che aveva smesso perché aveva esaurito la sua esigenza impegnativ­a. Ecco, credo che l’alpinismo sia un fatto di libertà assoluta. Nasce in noi da giovani, con le prime esplorazio­ni, e diventa un bisogno profondo, che vuole la sua soddisfazi­one e che in alcuni fortunati casi può anche trovarla fino a compimento».

Passione mai sazia

Avrei raggiunto molti altri risultati, eppure una vita non basterebbe, perché il desiderio cresce all’infinito mentre vedi cose nuove, ma le possibilit­à sono limitate

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Sergio Martini in vetta all’Everest nel 2009;
L’alpinista impegnato nella scalata di una parete;
Un’ascesa invernale alla via AsteNavasa al Crozzon del Brenta;
l’ascesa dello Spigolo degli scoiattoli nella cima ovest di Lavaredo negli anni Settanta
In parete Sergio Martini in vetta all’Everest nel 2009; L’alpinista impegnato nella scalata di una parete; Un’ascesa invernale alla via AsteNavasa al Crozzon del Brenta; l’ascesa dello Spigolo degli scoiattoli nella cima ovest di Lavaredo negli anni Settanta
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