«Il rapporto fra autonomie non può essere incrinato La guida? Interna all’ateneo»
Quaglioni: «Il diritto allo studio è modello, si tuteli»
TRENTO Nel 1994 accettò l’incarico affidatogli da Carlo Andreotti (a quel tempo presidente della giunta) e Fulvio Zuelli (a quel tempo rettore). Diego Quaglioni accettò. «E con entusiasmo», ricorda oggi. Tant’è che fu presidente dell’Opera universitaria e in quegli anni lanciò, per primo, il progetto che consegnò alla città lo studentato di San Bartolameo. Un’esperienza che, oggi, il docente di Storia del diritto medievale cita col sorriso. E nel giorno in cui gli studenti tirano un sospiro di sollievo dopo il naufragio dell’emendamento che superava l’intesa con l’ateneo per la definizione della presidenza dell’Opera, Quaglioni indica il perimetro di un delicato contrappeso non solo istituzionale «bensì — dice — fra autonomie». Un equilibrio, s’intende, che non può cambiare.
Professore, l’emendamento di Mara Dalzoccchio (Lega) è stato ritirato e quello di Claudio Cia (Agire) è stato bocciato. Il presidente dell’Opera resterà indicato d’intesa fra rettore e Provincia. Per ora. Ma il tentativo stesso pone qualche problema di fondo?
«Sono stato sorpreso nell’apprendere che a un passo dalle vacanze estive si discutesse in consiglio provinciale di una questione tanto delicata. La questione riguarda l’ente per il diritto allo studio, un ente che ha sempre svolto un ruolo delicatissimo nella relazione fra Provincia e università».
Per quale ragione è delicato?
«Non si tratta solo di un problema di equilibri tra due istituzioni che devono concorrere alla soluzione di problemi che interessano tanto la buona amministrazione provinciale quanto la vita dell’università; è piuttosto un rapporto fra autonomie. La formula che spero venga conservata
è quella che assicura il miglior rapporto fra queste due autonomie e che, al tempo stesso, assicura che l’autonomia provinciale si faccia garante dell’autonomia dell’università. L’autonomia serve a sviluppare autonomia, non a sopprimerla».
Quindi, nel caso specifico, è giusto che non si infici l’attuale prassi nel definire la presidenza?
«Nel caso specifico è giusto che sia il rettore a designare la persona che poi guiderà il consiglio di amministrazione e che la Provincia lo accetti volentieri. Questo è importante tanto per l’autonomia dell’università quanto per la funzione che l’autonomia provinciale svolge».
Nei due emendamenti speculari, ormai stralciati, si identificava anche il profilo del presidente.
«Il punto debole è quello: metteva l’accento sull’esperienza e sulle competenze nell’attività organizzativa. Capisco che questo possa essere anche un buon titolo, però anche il migliore e il più esperto degli amministratori che sia esterno all’università avrebbe un compito difficilissimo perché non capirebbe nulla. È necessario essere interni per comprendere a pieno le esigenze degli studenti, che sono i principali fruitori dei servizi erogati dall’Opera, e poi dell’intera comunità accademica. È un problema di sensibilità. Nel corso della mia esperienza ho apprezzato la straordinaria capacità dell’amministrazione provinciale nell’intervento sul diritto allo studio, la prontezza e la sua efficacia. Sempre con un orecchio teso verso le esigenze dell’università e degli studenti che solo chi conosce la vita universitaria può rappresentare. Aspetto che non è sempre così diffuso».
Come funziona in altri territori?
«L’Opera universitaria a Trento ha conservato questa denominazione, mentre altrove sono enti regionali per il diritto all studio che hanno normalmente alla loro testa l’espressione della burocrazia regionale e non hanno una relazione stretta con l’università per la quale dovrebbero lavorare. Il risultato è che nella maggior parte dei casi risultano enti il cui operato è spesso povero, inefficace. Qui a Trento, invece, l’Opera è diventata un modello per tutto il mondo universitario italiano. Non solo perché la Provincia è stata in grado di intervenire per residenze e mense, ma perché qui si è sviluppata una particolare sensibilità. L’Opera è il luogo d’incontro dell’università con la città».
È necessario essere parte della comunità accademica per capire le esigenze degli studenti