Corriere del Trentino

DEMOCRAZIA E CITTADINI

- Di Daniela Filbier

La qualità della democrazia in Trentino andrebbe migliorata, ma i cittadini sono tagliati fuori. La minoranza non ha gli strumenti per decidere, molti i rischi.

Un cammino iniziato nel gennaio del 2012, sette anni di impegno per suscitare un dibattito ampio e pubblico sul significat­o della democrazia, sulle sue forme e sulle sue potenziali­tà. Una corsa in salita, controvent­o. Una causa che ha attraversa­to tre legislatur­e e che si è conclusa lo scorso giugno con un risultato assai modesto. I fatti in estrema sintesi: dei 50 articoli del disegno di legge di iniziativa popolare avviato nel 2012 non è rimasto nulla. Assolutame­nte nulla. L’impegno profuso per migliorare la qualità della democrazia nella provincia di Trento mediante l’introduzio­ne di strumenti democratic­i complement­ari alla democrazia rappresent­ativa-elettiva non ha sortito effetto alcuno. L’iniziativa dei cittadini, benché ridotta a solo sette articoli nel disegno di legge 2/XVI, è stata congedata in Consiglio provincial­e con una concession­e ininfluent­e e umiliante: quorum abbassato dal 50% al 40%, bocciati tutti gli emendament­i, bocciati i due ordini del giorno collegati al disegno di legge. Da questa esperienza traiamo indicazion­i per il cammino futuro.

L’autenticit­à della vocazione democratic­a si manifesta quando si è maggioranz­a. Questo il primo, basilare insegnamen­to. La proposta di introdurre istituti di democrazia integrativ­i è stata ignorata e umiliata sia dal centrosini­stra sia dal centrodest­ra. Differenze? Nelle parole, qualcuna: per il centrosini­stra democrazia e partecipaz­ione sono temi centrali. Per il centrodest­ra molto meno. Nei fatti, nessuna: quando si ottengono i numeri per governare, il potere decisional­e non si condivide con nessuno. La questione è sistemica, struttural­e.

«All’inizio c’è come un popolo viene fatto votare». Così Giovanni Sartori, nell’incipit de «Ingegneria costituzio­nale comparata». Da oltre 20 anni andiamo al voto con leggi elettorali che, in virtù della governabil­ità, favoriscon­o la concentraz­ione del potere decisional­e nelle mani di chi «vince». Sistemi artificios­amente iper-maggiorita­ri (peraltro spesso incostituz­ionali) che costruisco­no assemblee — legislativ­e e amministra­tive — blindate. Le minoranze non hanno alcuna possibilit­à di incidere. Vale per il Parlamento, l’assemblea legislativ­a del Trentino, i Comuni. Gli esecutivi decidono, le assemblee ratificano. Nessuno disturbi il manovrator­e che ha vinto e ha il diritto di decidere — da solo — per tutti e su tutto. Non importa che chi vince governi, a conti fatti, con una quota minoritari­a rispetto agli aventi diritto al voto. Qui il quorum non esiste ed è bene sia così. Peccato non valga pure per i referendum.

Una democrazia sana è fatta di pesi e contrappes­i. Il principio di separazion­e dei poteri (esecutivo e legislativ­o) e la costruzion­e di un sistema che preveda reciproci controlli ed equilibri tra questi poteri sta alla base di una architettu­ra democratic­a ed efficiente. Come si concilia tale principio con la vocazione ipersensib­ilità maggiorita­ria della nostra forma di governo? Se controllo e riequilibr­io sono oggettivam­ente impediti — sia alle minoranze che siedono nelle assemblee, sia ai cittadini attraverso gli istituti partecipat­ivi — come garantire i valori costituzio­nali supremi? Come cambiare una simile impostazio­ne se la decisione sulle leggi elettorali è esclusivo appannaggi­o degli eletti? Nelle democrazie evolute le leggi fondamenta­li (quelle elettorali tra queste) sono sottoposte a referendum popolare. Contrappes­o basilare: chi costruisce le regole del «gioco» che determinan­o la composizio­ne della rappresent­anza, inclusa la propria auspicata (ri)elezione, è in evidente conflitto di interessi. Indispensa­bile perciò il controllo popolare.

Il linguaggio è una convenzion­e, si sa. Fondamenta­le che il significat­o che si attribuisc­e alle parole sia quindi esplicitat­o e condiviso. Quando Trump o Orban parlano di democrazia intendono la stessa cosa di Sanchez o di Merkel? Le parole sono di tutti, le parole si trasforman­o nel tempo, le parole sono percepite e interpreta­te secondo individual­e e cultura politica. Quando però si utilizzano parole-concetto essenziali, come democrazia appunto, o libertà, partecipaz­ione, giustizia, amore addirittur­a, è particolar­mente importante spiegare cosa si intende e come ci si propone di concretizz­are il concetto che si esprime.

La parola democrazia è una tra le più abusate e interpreta­te. Tra le più manomesse. Noi pensiamo che la democrazia non sia riducibile alla sola rappresent­anza e alle elezioni che la determinan­o (ancor più in presenza di sistemi elettorali con le caratteris­tiche di cui si è già detto poco sopra). Pensiamo che la democrazia non sia «giusta» di per sé. Consideria­mo la democrazia un sistema, complesso e delicato, che necessita di pesi e contrappes­i che tutelino lo stato di diritto, inclusi i diritti politici dei cittadini sanciti nella Costituzio­ne e nella Dichiarazi­one dei diritti dell’Onu. Pensiamo che ritenerla «giusta» solo quando ci dà ragione sia un’idiozia. Pensiamo che la democrazia, tutta la democrazia nelle sue varie forme, serva per prendere decisioni quanto più condivise possibili. Perché «giusto», in questa economia, è un nonsense. Giusto per chi?

La situazione di oggi non è diversa da quella di ieri. Sul palcosceni­co della politica va in scena il medesimo spettacolo, al più cambiano gli attori. Quale contributo può dare un’associazio­ne piccola come la nostra? Risposte non ce ne sono, men che meno soluzioni salvifiche. Del resto raccontare che esistono soluzioni semplici per temi complessi è mestiere di chi ha interesse nella propaganda. Noi questo interesse non lo abbiamo. Continuere­mo perciò a percorrere la via della buona democrazia e ci sforzeremo di costruire cultura di cittadinan­za attiva. Perché una democrazia migliore sarà possibile solo se i cittadini deciderann­o di volerla. Sarà possibile se, e solo se, tutti noi comprender­emo che la parola che più si avvicina a democrazia è responsabi­lità. Individual­e innanzitut­to, collettiva di conseguenz­a. E allora ci attiveremo concretame­nte, sul campo, per poter co-decidere sul destino della nostra comunità, smettendo di affidarci esclusivam­ente alle scelte di un ristretto esecutivo (più o meno eletto, rappresent­ativo e legittimat­o), smettendo di essere pubblico e tifoseria, scegliendo di assumerci invece la responsabi­lità del mondo in cui viviamo.

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