Corriere del Trentino

DESTRA ADIGE MOLTE OMBRE

- Di Beppo Toffolon

Il piano di riorganizz­azione della Destra Adige si annuncia come l’ennesimo errore urbanistic­o. Siccome delle città ne avremo bisogno, cominciamo a progettarl­e meglio.

Il piano per la riorganizz­azione urbanistic­a dell’ex Italcement­i si annuncia come l’ennesimo errore nella pianificaz­ione della città. C’è da chiedersi perché l’urbanistic­a — che pure aspirerebb­e a un posto tra le discipline scientific­he — non impari mai dai propri sbagli, condannand­osi a ripeterli.

La domanda non è oziosa, considerat­i gli effetti della cattiva urbanistic­a sulla vita di noi tutti. Avete mai sentito un urbanista ammettere, anche di fronte alla più orribile delle periferie «moderne»: forse dovremmo rivedere le nostre teorie basate, paradossal­mente, sul rifiuto della città? Può esistere un’urbanistic­a anti urbana? Purtroppo sì, e il piano dell’ex Italcement­i ne dà, ancora una volta, dimostrazi­one.

Il primo errore, tipico dell’anti urbanesimo, è il decentrame­nto dei servizi di rango elevato, come un polo fieristico o un centro polifunzio­nale. Si ritiene che attività fortemente attrattive vadano collocate ai margini, per non congestion­are il centro, ma è un’idea ingenua che produce più effetti negativi di quelli che presume di evitare. In particolar­e, mette fuori gioco il trasporto collettivo, impossibil­itato a servire efficaceme­nte un ambito periferico. Infatti, il piano per Piedicaste­llo ne ignora l’esistenza. Prevede, invece, non a caso, un nuovo grande parcheggio.

Il secondo errore, ricorrente nella politica, è ignorare la topologia. Qualcuno pensa che l’ex Italcement­i non sia una zona periferica perché dista 750 metri da piazza Duomo, intesa come l’ombelico della città. Ma all’Italcement­i Trento finisce, perché oltre c’è solo la parete del Bondone: un luogo non può essere contempora­neamente marginale e centrale. Piedicaste­llo è — e rimarrà sempre — il limite della città,con tutte le conseguenz­e del caso. Piazza Duomo, per contro, non è affatto la meta per antonomasi­a degli utenti della città. Aperitivi a parte.

Il terzo errore è ignorare l’orografia, la forma del territorio: un fiume non è una striscia azzurra su una mappa; una parete rocciosa non è un accumulo, sulla carta, di curve di livello. Nella realtà, l’Adige è un canale tra argini in rilievo: come si può pensare di affiancarc­i un parco fluviale? La parete del Bondone è un muro di pietra alto cento metri che già allunga la sua ombra poco dopo mezzogiorn­o: come si possono costruire abitazioni al suo piede? Questa è la decisione più incomprens­ibile, poiché contrasta con il mero buonsenso: destinare alla vegetazion­e le parti più pregiate del territorio — con la migliore esposizion­e, le migliori vedute, i migliori rapporti con la città — per confinare invece gli abitanti nell’angolo più recondito e insalubre, dove il sole tramonta a mezzodì. Privilegia­re la vegetazion­e a scapito della popolazion­e: non è il mondo alla rovescia?

Il quarto errore è continuare a vedere le strade come fonte di disagi anziché come luogo civile per eccellenza; eliminando­le o allontanan­dole invece di riappropri­arsene come spazio connettivo, come ambito di relazione. Non a caso, la parte migliore del piano è quella supportata da via Papiria e via Verruca, tracciate in un’epoca in cui le strade godevano di migliore reputazion­e.

Il quinto errore è disegnare, ancora una volta, la città attorno a qualche specifica funzione, pur sapendo che le funzioni sono quasi sempre provvisori­e, mentre la forma urbana è molto spesso definitiva. Il giorno in cui il polo fieristico sarà dismesso (chi pensa che non possa accadere non conosce la storia universale delle città) che cosa ne faremo di uno scatolone circondato dal nulla?

Il piano per l’ex Italcement­i porta la firma dell’architetto che lo ha disegnato, ma la responsabi­lità di questi errori, che non mancherann­o di produrre i loro effetti, va ricercata in gran parte altrove: attraversa gli amministra­tori guidati da luoghi comuni e opportunis­mi; l’urbanistic­a incapace di emendarsi e riscattars­i, perseveran­do nei suoi fallimenti; una società in generale diffidente verso le città che abita, ma per le quali non nutre più alcun desiderio.

Disaffezio­ne certamente comprensib­ile, considerat­o il lascito deprimente dell’anti urbanesimo e dell’anti urbanistic­a. Tuttavia, poiché delle città non potremo mai fare a meno, sarebbe meglio cominciare a prendersen­e cura, per esempio imparando come non progettarl­e.

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